Dio
sceglie tutti?
Anna: Nel mondo ci sono tre
categorie di persone: quelli che hanno la fede; quelli che non si pongono il
problema dell’esistenza di Dio e quelli che vorrebbero sentire questa chiamata
interiore, ma non la sentono. Che cosa vuol dire? Che non hanno la forza di
farsi sentire da Dio o che Dio è sordo, disattento, troppo occupato a gestire
l’Universo per rispondere? Oppure, più semplicemente, che Dio non esiste perché
è soltanto una nostra creazione, la proiezione di un nostro desiderio
spirituale, un nome per coprire un vuoto che ci spaventa?
Thomas: Mentre tu dici: “Non
sento, non credo”, Dio in quel momento ti parla, ascoltalo! Tutti siamo uomini
e donne di poca fede. Non c’è soluzione di continuità fra il poco credere e il
molto credere, perché la fede può andare all’infinito, è un atto che punta in
alto, all’Assoluto, senza raggiungerlo mai. C’è chi rifiuta la dimensione del
mistero ed evita il rischio di affidarsi all’invisibile, ma penso che siano
pochi, un caso limite. Una persona che crede si pone sempre la questione della
fede. Più si crede, più si dubita, si potrebbe dire.
Anna: Ho sempre pensato il contrario.
Più si crede, più si è certi della propria fede. I cattolici e i protestanti
dicono: “Abbi fede!”.Yogananda amava ripetere: “Fate l’esperienza della fede”.[1]
Thomas: È quello che sto
dicendo. La certezza della fede non è una certezza matematica né morale. Non ha
niente in comune con la certezza filosofica, ma è qualcosa che ci rende capaci
di rimettere tutto in discussione, al fine di crescere nella fede.
Anna: Ma è Dio che sceglie gli
uomini o sono gli uomini che scelgono Dio? Se non si è scelti, non si fa parte
della classe degli eletti!
Thomas: Tu sei scelta, perché
Dio sceglie tutti, uno per uno, in modo da suscitare in ciascuno la coscienza
di essere scelto. La scelta di Dio è amore. Dio ama incondizionatamente; non
può non amare, altrimenti non sarebbe Dio. “Io sono Dio, non un uomo”, dice il
Signore al profeta Isaia, capitolo 55. Leggi quel capitolo. Lo ha citato
Paramahansa Yogananda alla fine della sua Autobiografia.
Quel capitolo di Isaia ha aperto per me la strada che ho percorso finora.
Anna: Dunque, Dio sceglie gli
uomini, non sono gli uomini che scelgono Dio. Ma se un essere umano non si
sente scelto da Dio, si sente dimenticato da Dio, non si sente amato da Dio?
Thomas: Vuol dire che sei
sulla strada giusta. Invece, se dicessi: “Mi sento fra gli eletti, sono sulla
strada giusta”, allora dovresti stare attenta. Stai più al sicuro in quella
condizione di aridità.
Anna: Ma è di grande
sofferenza questa condizione.
Thomas: Di sofferenza sí, ma
cosa vuoi? La fede non è tutta rose e viole. In America diremmo: “It’s not all beer and pretzels!”.
Anna: Significa che è una cosa
particolare, che non è per tutti?
Thomas: È per tutti, è una
cosa reale, ma non è un divertissement.
Tutti cerchiamo i divertissement,
diceva Pascal. Lascio la parola in francese perché non c’è una traduzione
esatta in italiano o in inglese. Diversione, distrazione, divertimento sono
aspetti di quello che Pascal intendeva dire. Soprattutto la persona religiosa,
devota, pia, può divertirsi con questo grande divertissement, può trastullarsi con la sua pietà, con la sua
devozione, con il suo credersi nel giusto.
Anna: Non è soltanto uno dei
tanti modi per gonfiare l’ego?
Thomas: Puoi dire così. Io
invece non ce l’ho con l’ego, perché ho capito che l’ego è poca cosa. Bisogna
svilupparlo un po’ fino ai trentacinque anni, per difendersi davanti alle dure
realtà della vita. Una fede che cerca sempre di difendersi mostra la propria
debolezza. I fanatici, i fondamentalisti sono forse gente di molta fede? Sono
gente di poca fede, sono insicuri nel loro credere.
Anna: E l’insicurezza genera
violenza.
Thomas: L’ego fa parte della
psiche; non ce l’ho con l’ego, come non ce l’ho con nessuna parte del mio
corpo, né con l’aria che respiro, né con l’acqua che bevo. Nessun uomo deve odiare
il corpo; neppure deve odiare l’ego.
Anna: È la prima volta che lo
sento dire. Sono stata educata, per volere di mio padre, dalle suore fino a
vent’anni; loro amavano ripetere che il corpo va punito, castigato, represso,
controllato. Le vedo ancora vestite di nero aleggiare tra noi ragazze e
ripetere che le nostre spalle erano curve per il peso dei nostri peccati.
Thomas: È assolutamente falso
quanto t’insegnavano. Non è compatibile con il cuore della fede cristiana, la
dottrina dell’Incarnazione.
Anna: I santi anacoreti che
sceglievano una vita di privazioni, isolati dal mondo, nelle caverne, nemmeno
in quel caso c’era la ricerca del superamento del corpo?
Thomas: La ricerca del
superamento di ogni cosa può anche cominciare dal corpo, ma non si tratta di
distruggere il corpo. Si deve rinunciare a tutto ciò che non è Dio, per amarlo
con tutto il proprio essere. Ti faccio un esempio, l’antica descrizione di un
santo anacoreta nella Vita di
sant’Antonio Abate, scritta da sant’Atanasio. Dopo anni di tentazione, dopo
aver lottato con demoni di ogni specie, nel momento in cui sant’Antonio esce
dal suo romitorio fra le tombe — dice Atanasio — non è troppo magro, né troppo
grasso, non è troppo ilare né troppo triste. È un uomo perfettamente integrato.
Anna: Sembra un passo della Bhagavad Gita.
Thomas: Esatto. “Lo Yoga non è
per chi mangia troppo — dice la Gita —,
né per chi mangia troppo poco; non è per chi dorme troppo né per chi dorme
troppo poco”.[i]
Nel racconto di Atanasio c’è anche un po’ di stoicismo, un fondo filosofico
oltre a quello religioso, che esprime quella “sapienza universale” cui
attingevano i santi cristiani come quelli indù. È comune alle due tradizioni
l’ideale dell’integrazione della persona.
Anna: L’uomo deve essere
imperturbabile di fronte alla gioia e al dolore. Il saggio è chi non ha paura
del mondo e di cui il mondo non ha paura.
Thomas: Secondo la Bhagavad Gita, l’uomo integro deve avere
la stessa visione dell’amico, del nemico, del parente, del lontano. Potrei
accostare questa dottrina a quanto dice Gesù: “Amate i vostri nemici”.
Anna: Il concetto di porgere
l’altra guancia?
Thomas: Sí, è questo ed è
altro ancora.
Anna: Che cosa vuol dire oggi
porgere l’altra guancia? Se qualcuno ti facesse del male, reagiresti ?
Thomas: Non gli darei un
pugno, ma non basta, sarei ancora lontano da quanto Gesù insegnava. Il Cristo
risorge in me ogni volta che riesco a vivere la sua parola seguendo il suo
esempio. Sarò integro se avrò pregato per i nemici come colui che disse, nel
momento di essere crocefisso: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che
fanno”. Realizzerò in pieno la mia persona se avrò amato chi mi odia.
Anna: È una virtù poco
praticata oggi, difficile attuarla nel vivere quotidiano.
Thomas: È la virtù più
necessaria oggi. Il mondo ha bisogno di praticarla. Abbiamo più bisogno di
vivere questa virtù che di compiere riti o fare teologia. Oggi è necessario,
quanto mai prima, pregare per i nemici fino ad amarli, fino a restituire loro
il bene per il male.
Anna: E se c’è qualcuno che ti
calunnia cosa devi fare?
Thomas: Reagire come Gesù ha
reagito: “Egli non ha aperto bocca, ma si è affidato a chi giudica
giustamente”, dice san Pietro. Gesù non è stato passivo, ma ha pregato per i
suoi aguzzini e si è affidato totalmente a Dio, che giudica perdonando.
Anna: Si è fatto mettere in
croce! Non è un segno di totale abbandono e passività?
Thomas: Si è fatto mettere in
croce come un atto di obbedienza a Dio, suo Padre.
Anna: “Padre, perché mi hai
abbandonato?”, egli dice prima di morire. Perché Dio lo ha abbandonato? Il suo
grido non era espressione di umana disperazione, di solitudine?
Thomas: La frase di Gesù in
croce è la prima riga del Salmo 22. Esprime la sofferenza di un individuo nel
modo meno soggettivo possibile, con il linguaggio della preghiera comune. Gesù
non esprime il suo dolore con una preghiera privata, individuale, ma con quella
liturgica, la preghiera cantata nel tempio durante le feste pasquali. Gesù che
recita questo Salmo in croce è un’elaborazione dell’evangelista. Il fatto
storico è rivelato nella frase: “Emise un grande grido”, un grido che portò in
sé il significato di quel Salmo.
Anna: Un grido di dolore, di
disperazione.
Thomas: Gesù non ha disperato
in senso teologico, perché il suo grido fu un atto di somma speranza.
L’evangelista sentiva in quel grido di Gesù in croce tutto il Salmo 22, che
esprime un rimprovero a Dio, un rimprovero quasi blasfemo. La domanda è
retorica, secondo la retorica delle lingue semitiche: “O Dio, tu hai fatto male
ad abbandonarmi! Se tu fossi davvero il mio Dio, non mi avresti abbandonato!”.
Il salmista descrive la sua situazione atroce: “Sono ridotto al punto di vedere
le mie ossa, come se ci fossero dei buchi nelle mie mani, eppure ancora
proclamerò la tua lode nella grande assemblea! I poveri mangeranno e vivranno,
racconteranno alle generazioni future quanto ha fatto il Signore”. Ecco quanto
dice il Salmo 22. Allora, disperato? No. Il salmista ha avuto tanta speranza in
Dio che gliel’ha urlata in faccia. Questa è la speranza, quando gridiamo a Dio
tutta la nostra sofferenza, solitudine, disperazione.
Anna: Quante persone soffrono
perché vorrebbero avvicinarsi a Dio, avvertono questo impulso interiore, questa
chiamata, ma si sentono soli e abbandonati e non arriva nulla a scaldare il
loro cuore.
Thomas: È bello fare
l’esperienza di una presenza divina che ti scalda il cuore, ma ognuno ha il
proprio dono. Ho avuto tante consolazioni quando seguivo Paramahansa Yogananda.
Con lui personalmente non sono mai stato, ma ho seguito i suoi precetti,
studiato le sue lezioni; ho praticato il Kriya Yoga con i suoi discepoli. Fu
un’esperienza dolce e consolante. Tutto finì quando decisi di diventare
cattolico.
Anna: È difficile per me
parlare di qualcosa di molto personale, che non fa parte di questo discorso più
vasto. A volte nel passato l’angoscia è stata così forte da togliermi il
respiro, altre volte era la rabbia a scuotere il mio fragile corpo, o erano lo
sconforto e la passività a dominare la mia vita. Come se non ci fossero più
lacrime per piangere, né voglia di invocare. Mi sentivo svuotata in attesa di
una risposta che non arrivava mai. “Dove ti sei nascosto, Amato, abbandonando
me gemente? — scrive san Giovanni della Croce —. Come il cervo fuggisti, dopo
avermi ferita; uscii invocandoti e te n’eri andato”.
Thomas: Tu non sei
un’eccezione. Stai raccontando esattamente quello che ho sperimentato io.
Anna: Tu hai scelto di farti
monaco perché sei stato chiamato e quindi il discorso è molto diverso.
Thomas: Quando ho accettato la
Chiesa cattolica come mio guru non ho sentito nulla, anzi ogni passo mi portava
verso un’ulteriore perdita di quelle consolazioni di cui godevo seguendo le
orme di Yogananda. La religione di Yogananda è molto dolce, soltanto che è
induismo.
Anna: Lo yoga cerca di
risvegliare la nostra vera natura, la divinità che è in noi. Yogananda ripeteva
spesso ai suoi discepoli che dovevano portare avanti l’idea della
Self–Realization Fellowship, di una Chiesa di tutte le religioni fondata sul
rispetto dei vari sentieri che portano a Dio. E Yogananda, proprio per
confermare questa sua idea, realizzò sulle coste del Pacifico un tempio
dedicato a tutte le religioni, the Lake Shrine. Accanto all’urna con le ceneri
del Mahatma Gandhi ci sono le statue di Cristo, di san Francesco, di Buddha e
di altri illuminati.
Thomas: La religione di
Yogananda è anche induismo, perché Yogananda era un indù. Volevo farmi monaco a
Los Angeles con i suoi discepoli, con Mokshananda e Kriyananda, giovani
eccezionali, americani come me, dediti alla pratica della meditazione e alla
vita di castità e rinuncia.
Anna: Evidentemente in quel
momento avevi bisogno di un’esperienza monacale cristiana. Chissà, forse un
giorno farai anche quella di sannyasin, oppure come Jules Monchanin e Henri Le
Saux, che hanno fondato un ashram benedettino nel sud dell’India, Shantivanam,
finirai per seguirle contemporaneamente.
Thomas: Già le seguo in
qualche modo. Per molti anni, sin dal 1988, ho passato un paio di mesi ogni
anno a Shantivanam.
Anna: Quando ti ho conosciuto
ad Assisi, infatti, indossavi la veste arancione e non la candida veste
benedettina. Mi sembra che il Vaticano accetti con riserva questa esperienza
non proprio ortodossa di un ashram cattolico dove è possibile diventare anche
sannyasin, rinunciante secondo quella che è la tradizione indù.
Nel libro Alle sorgenti del Gange, Henri Le Saux parla di questo suo cammino
spirituale così angoscioso, così conflittuale. Questo voler cercare Dio su due
sentieri paralleli, quello cristiano e quello indù. Ed è soltanto in punto di
morte, o poco prima di morire, che lui riesce, non a fare confluire le due
religioni o le due scelte, ma a superarle entrambe. Almeno così mi è sembrato
di capire. La sua storia è veramente affascinante. È il tipo di ricerca spirituale
che mi è più vicina, fatta di dubbi e di disperazione, senza consolazioni.
Thomas: Padre Le Saux — in
India lo chiamiamo Abhishiktananda — certamente superò la ristrettezza della
sua formazione cattolica, che lo condizionava moltissimo. Jules Monchanin,
invece, proveniva da un’esperienza familiare ed ecclesiale molto diversa. La
sua città, Lione, non era la Bretagna di Le Saux. A Lione era molto ricca la
vita intellettuale. I cattolici erano protesi verso le missioni e verso un
dialogo con le culture sia antiche che contemporanee. Monchanin, per
temperamento e per formazione intellettuale, era un uomo molto aperto, mentre
Le Saux proveniva da un ambiente tradizionalista e culturalmente chiuso. Ha
fatto fatica ad aprirsi.
Anna: Il suo è stato un cammino
straziante, sia pure con grandi illuminazioni. Nel suo diario parla
continuamente di angoscia e sofferenza. Questo mi fa capire che, anche per i
grandi, il rapporto con Dio non è senza contraddizioni e dolore.
Thomas: In qualche modo
anch’io ho dovuto affrontare la stessa esperienza di angoscia e
d’illuminazione, dopo aver ascoltato, al tramonto del 24 giugno 1960, una voce
interiore che mi diceva di accettare la Chiesa come mio guru. In quel momento
ho sperimentato Dio come mai l’avevo sperimentato prima e, allo stesso tempo,
ho capito che sarei rimasto senza consolazioni.
Anna: Scegliere la Chiesa
cattolica significava per te rimanere senza consolazioni? Il Cristo non è
l’unica grande consolazione per ogni cristiano?
Thomas: Nel mio caso accettare
la Chiesa ha significato accettare di camminare senza le consolazioni. Per vari
motivi. Uno è questo: sebbene la Chiesa cattolica sia la mia Chiesa, la mia
cultura è altra. La Chiesa cattolica è la tua Chiesa ed è parte essenziale
della tua cultura. Puoi non andare a Messa, però hai sempre la tua Chiesa. Sei
nata a Roma all’ombra della cupola che ti piace tanto. In me, invece, la cupola
suscita orrore per quel cattolicesimo trionfante che esprime. E i due colonnati
sono come due braccia che mi stringono il collo, mi tolgono il fiato.
Anna: Abbiamo sensazioni
opposte. Probabilmente io la vedo nella sua bellezza architettonica, come opera
d’arte; tu, come monaco, la vivi come istituzione che ti opprime.
Thomas: Non come istituzione
ma come gioco di simbolismo. I simboli hanno una potenza psicologica
formidabile che Bernini e Michelangelo capivano bene. Il papa di quei tempi ha
voluto l’obelisco come un lingam in
mezzo alla yoni del colonnato. Anche
se è vero che il lingam del culto
induista non è precisamente un simbolo fallico, c’è in quell’obelisco eretto al
centro del colonnato una forte carica erotica, che tutti sentiamo a livello
inconscio, senza esserne consapevoli. Questo non è il mio problema. Sono le
dimensioni eccessive del complesso che mi fanno sgomento. Io sono della scuola small is beautiful, “il piccolo è
bello”, e lo penso anche della Chiesa. Amo la piccola assemblea, la piccola
comunità. Temo le folle oceaniche che osannano. Sono le stesse folle che
invocarono la crocefissione. Non mi fido delle folle, come non si fidava lo
stesso Gesù.
Anna: C’erano migliaia di
persone che andavano ad ascoltare i suoi sermoni sulla montagna. E lui
moltiplicava pani e pesci per sfamarli. E lo seguivano mentre si spostava da
una città all’altra. Anche Giovanni Paolo II con il suo carisma, nonostante
l’età e la malattia, è sempre riuscito a catturare milioni di persone, sia durante
i suoi viaggi all’estero, quando portava la sua parola di pace in ogni angolo
sperduto della terra, sia durante le cerimonie in Vaticano. Il Giubileo del
2000 è stato un vero trionfo di folle. E Papa Francesco, con il suo carisma,
sembra addirittura attirare folle ancora più gigantesche.
[1]
Paramahansa Yogananda, grande maestro indiano, visse negli Stati Uniti per più
di trent’anni. Ha fatto conoscere agli occidentali la tecnica del Kriya Yoga.
La sua Autobiografia di uno Yogi è
uno dei libri più diffusi nel mondo.
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