giovedì 4 ottobre 2018

Lo spinoso cammino della fede


Lo spinoso cammino della fede

Thomas: Accetto tutta la fede cattolica e cerco di obbedire alla Chiesa, però la cultura cattolica non è qualcosa a me connaturale. Ripeto, quell’obelisco pagano che si erge al centro del colonnato di San Pietro, lo giudico troppo erotico. La religione barocca, come l’arte barocca, giocava su questo erotismo distorto e semirepresso.

Anna: Io credo che malizioso sia chi vede le cose in modo malizioso.

Thomas: Io sarei malizioso? Non sono malizioso. Effettivamente la nostra Chiesa ha vissuto nel Cinque–Seicento un’epoca di forte ambiguità. Credo nella Chiesa cattolica e desidero che parli con una vera autorità evangelica, che parli da cuore a cuore, che affermi la persona umana nella sua integrità e che faccia appello al buon senso comune, come faceva Gesù con le sue parabole. Quella, per esempio, della donna che spazza tutta la casa per ritrovare la moneta persa. Dio agisce così, come una donna accorta che non lascia perdere nulla di valore. Desidero che la Chiesa sia così, perché la Chiesa è il mio guru. Non è impossibile che un discepolo veda il proprio guru smarrirsi. Tanto è vero, che Sri Yukteswar dice al suo discepolo Yogananda, in una delle pagine più belle dell’Autobiografia di uno yoghi: “Se mai tu mi vedessi decadere dal mio stato di perfetta unione con Dio, ti prego, promettimi di porre il mio capo sul tuo petto e di aiutarmi a tornare all’Amato Cosmico che entrambi adoriamo”.

Anna: Un’affermazione di grande umiltà ma, in realtà, io credo che un vero guru non può mai perdere la retta via.

Thomas: Sri Yukteswar ammette questa possibilità e ha ragione. Quel bellissimo colloquio fra guru e discepolo mi ha fatto capire una verità molto importante. Posso anche accettare che la Santa Madre Chiesa decada in qualche modo dall’unione con il suo Sposo, Cristo. I primi scrittori cristiani — i “Padri della Chiesa” — dicevano che la Chiesa Vergine a volte mostra l’aspetto della casta meretrix. Questa è l’antica sapienza cristiana, che ci aiuta ad accettare e superare le colpe storiche della Chiesa. La Chiesa svolgerà il suo compito sino alla fine dei tempi, ma le garanzie della sua fedeltà a Cristo e alla verità sono ben definite e sono piuttosto poche. Invece non c’è alcuna garanzia per la cupola; non ti posso promettere che sarà lì domani, tanto meno alla fine dei tempi.

Anna: Sento il desiderio di avvicinarmi al cristianesimo che fa parte, come tu dici, della mia cultura. Mi affascina la figura del Cristo. Trovo profonde e intense le sue parole. Quando leggo i Vangeli, sono sempre stupita dalla semplicità dei suoi discorsi che mirano dritto al cuore. Immagino questo giovane dallo sguardo dolce e perso, assediato dalla folla, camminare nelle stradine polverose della Giudea, fermarsi a bere un bicchiere d’acqua, mangiare un po’ di pane. Ha soltanto trent’anni ma ha nella mente una sapienza infinita e nel cuore un amore immenso. Vive sapendo di morire. Per lui non c’è alba di felicità terrena ma soltanto la tenebra oscura della prova, del sacrificio. Sale sul Golgota trascinando una croce di legno, egli sa che in quell’ultimo finale dono di sé nessuno potrà aiutarlo. E mi sembra di sentire il suo cuore battere più forte per il dolore e la stanchezza, forse anche per la paura. E mi sembra di vedere lacrime scendere dai suoi occhi. Sono gli occhi dei giovani di oggi, curiosi e impreparati.

Thomas: Tu vivi il cristianesimo con difficoltà, come tante persone oggi che vorrebbero avvicinarsi a Cristo ma non a chi lo predica. Non dico che devi per forza tornare cattolica praticante, ma nemmeno voglio lasciarti nella mediocrità di un cattolicesimo scontato. Se vuoi meditare su Gesù Cristo, medita allora!

Anna: Tu vedi una Chiesa povera come quella che voleva san Francesco, che pure ha avuto non pochi problemi a far accettare le sue regole da papa Innocenzo III.

Thomas: Vedo una Chiesa che segue l’esempio di san Francesco, di san Romualdo, di san Benedetto, dei primi discepoli di Gesù. Sarei potuto vivere da cattolico se non mi fossi fatto monaco? Sí, perché Dio mi ha dato questa fede.

Anna: Hai usato l’espressione, “Dio mi ha dato questa fede”, quindi confermi quello che dicevo prima. La fede è una grazia divina. Se Dio non te la dà, sei perduto.

Thomas: È una grazia divina che mi è venuta prima dall’India e poi dalla Chiesa. Durante una permanenza in India ho riletto l’Autobiografia di Paramahansa Yogananda e quella di un suo discepolo americano, Kriyananda. Ho rivissuto gli anni di amicizia con i giovani monaci della Self–Realization Fellowship a Los Angeles. Sono ricordi molti belli. Devo molto a Yogananda e ai suoi discepoli.

Anna: Quanto conta l’ambizione di diventare santi?

Thomas: Ti potrei recitare il soliloquio di san Tommaso Becket nell’Assassinio nella Cattedrale di T. S. Eliot: “The last temptation is the greatest treason, to do the right deed for the wrong reason. L’ultima tentazione è il massimo tradimento, fare la cosa giusta per il motivo sbagliato”. In inglese suona come una filastrocca che invece è di una serietà tremenda. L’ambizione di essere santi è l’ultima tentazione, ma è anche il massimo tradimento. Quindi non devo ambire alla santità, devo lasciarmi santificare. Ricordo la risposta di santa Giovanna d’Arco alla domanda dei suoi inquisitori: “Allora, siete o non siete nella grazia di Dio, fanciulla?”. Lei risponde: “Se ci sono, che Dio mi ci tenga; se non ci sono, che Dio mi ci porti”. È un po’ come la preghiera della Brihadaranyaka Upanishad, tanto apprezzata da Paolo VI: “Asato ma sad gamaya, tamaso ma jyotir gamaya, mrityor ma amritam gamaya, Dal falso conducimi al vero, dall’oscurità conducimi alla luce, dalla morte conducimi alla vita immortale”.   

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