giovedì 4 ottobre 2018

I tre corpi


I tre corpi

Anna: Nirvana, Samadhi, Illuminazione, parole diverse per esprimere quello stato di  perfetta unione e  armonia tra coscienza individuale e coscienza universale, cioè l’ estasi, la  beatitudine sperimentata dai santi. Per uscire dal ciclo delle rinascite ci vogliono centinaia, forse migliaia d’incarnazioni, poi — secondo i testi di yoga — si passa nel mondo astrale e infine in quello causale. Per il cristiano, invece, c’è una sola vita e la dottrina non prevede l’abbandono progressivo dei tre corpi: il corpo eterico o fisico, il corpo astrale o emotivo e il corpo–idea o causale. Il corpo fisico dipende dal cibo e si distrugge con la morte; quello astrale dipende dall’energia, dalla volontà e dall’evoluzione del pensiero e il terzo corpo, quello causale, dipende dalla saggezza e dalla felicità. Gli ultimi due corpi rimangono legati insieme dai desideri e dal karma non consumato. E sono proprio i desideri che ci legano alla terra e ci spingono a reincarnarci. ParamahansaYogananda fa una sottile distinzione tra Spirito e anima. Lo Spirito è Gioia sempre nuova; l’anima ne è il riflesso individualizzato. Quando tutti i desideri sono consumati con la meditazione, i tre corpi–prigione si dissolvono e l’anima diviene puro Spirito.

Thomas: A monte di queste sottili distinzioni c’è un doppio discorso: da un lato il discorso mitico delle tradizioni indiane e dall’altro il discorso dell’esperienza, frutto della pratica di yoga e di meditazione. Distinguiamo il mito della reincarnazione dal tema dei tre corpi. Nell’Autobiografia, Yogananda affronta quest’ultimo raccontando un’esperienza in cui incontra il guru, Sri Yukteswar, deceduto da poco. Il guru spiega che i tre corpi corrispondono ai tre mondi che costituiscono il creato. Il pensiero indiano ha sempre a che fare con le triadi. Si può contrastare il triadismo del pensiero indiano con la dialettica bipolare e la tendenza generale al bipolarismo se non al dualismo nel pensiero occidentale.

Anna: Anche nel Cristianesimo c’è il concetto della Trinità.

Thomas: Sí, perché il cristianesimo è universale, non riducibile ai parametri del pensiero occidentale. Anzi il cristianesimo è più connaturale con l’India che non con l’Occidente attuale. Comunque, di triadi ce ne sono tante nel pensiero indiano.

Anna: La più nota Brahma, Vishnu, Shiva, in altre parole Colui che crea, Colui che conserva e Colui che distrugge o, sarebbe meglio dire, che rigenera. Rappresentano i tre aspetti dell’immanenza di Dio nella creazione.

Thomas: Siamo sempre nel campo del mito, mentre il discorso sui tre corpi si muove nel campo della profonda esperienza di sé, frutto delle pratiche yoga. Lo yoghi scopre la stratificazione della propria natura: il corpo materiale è avvolto dall’involucro fatto di energia vitale (prana) e da quello fatto di pensiero. Secondo il tantrismo, soprattutto nella scuola del Kashmir di mille anni fa, abbiamo anche un quarto corpo, perché là dove ci sono tre, c’è sempre un quarto che li trascende. Il quarto corpo s’identifica con lo stato supremo che, appunto, si chiama turiya, letteralmente “il quarto”, sinonimo di samadhi, l’ultimo traguardo della meditazione. Nel pensiero tantrico dell’India, il “quarto corpo”, quello trascendente, è immanente nei “tre corpi” dell’essere umano. Lo yoghi tantrico non cerca di uscire dal corpo “carcere” ma si dirige verso il centro, dove scopre il corpo al di là dei tre corpi, ossia l’unità al di là della molteplicità.

Anna: La progressiva spiritualizzazione ci porta ad abbandonare i tre corpi finché non ci immergiamo definitivamente nell’Energia Cosmica, nell’Assoluto, l’onda che si annulla nell’Oceano. Questo è previsto anche nel tantrismo. Una bella immagine è quella di un’anfora piena d’acqua immersa nel mare. L’acqua dentro e fuori è la stessa, ma soltanto quando il recipiente si rompe i due liquidi si mescolano.

Thomas: “Immersione” e “annullamento” fanno parte del gergo comune a tutti i mistici. Non voglio perdermi in questioni tecniche e filosofiche. Nel sogno raccontato nell’Autobiografia, il guru risuscitato afferma che l’anima non perde la propria individualità, divenendo Spirito. Così insistono anche i mistici cristiani. Torniamo alla nostra questione di prima, se lo yoga può trovare posto nel cristianesimo e nella Chiesa.

Anna: Riconosci dunque che la Chiesa sta soltanto adesso diventando più tollerante nei confronti dello yoga? Quando sei diventato monaco benedettino e hai continuato a praticare il Kriya Yoga sapevi di fare qualcosa di non propriamente ortodosso?

Thomas: Quando ho cominciato a praticare yoga e a meditare, non appartenevo a nessuna Chiesa! Poi, diventato monaco cattolico, ho sentito la necessità di operare un discernimento. Mi è sembrato che si poteva nascondere persino un’illusione diabolica sotto lo yoga. Era un dubbio e io devo dubitare — mi chiamo Tommaso, no? I periodi in cui ho smesso di praticare il Kriya Yoga sono stati momenti di distacco per riflettere sull’esperienza. Poi sono tornato a praticarlo. Non ho mai interrotto per più di due o tre anni.

Anna: A distanza di tanti anni dovresti essere cambiato profondamente. Yogananda parla di questa tecnica come della più efficace e più rapida per raggiungere la realizzazione. Ti senti diverso rispetto agli altri monaci che non fanno questo tipo di meditazione?

Thomas: Più interiorizzato senza dubbio, e più consapevole anche. A volte trovo difficile ammettere a me stesso quello che riesco a intuire a livello extra sensorio. Parlo d’intuito profondo, di comunicazione telepatica, di chiaroveggenza. Di queste cose ho sempre dubitato, ma è solo una diffidenza terapeutica per non cadere nella presunzione.

Anna: Tutti i grandi yoghi, secondo le scritture, devono saper ignorare i poteri, le siddhi, che si acquistano con la meditazione, proprio per non gonfiare l’Ego, per non perdersi nei giochi di prestigio dimenticando il fine ultimo, l’unione con Dio. Hai avuto anche delle esperienze mistiche?

Thomas: Preferisco dire che Dio mi ha dato la consapevolezza della sua presenza, ma anche di altre presenze, come quella di mio padre. Egli ha cominciato ad apparirmi interiormente nove anni dopo la sua morte; adesso più di rado. L’ultima volta è stata in India. Ero appena arrivato all’ashram di Shantivanam, stavo a letto con gli occhi chiusi quando l’ho visto, come se guardassi una diapositiva luminosa, a colori. Lui sorrideva e mi guardava. A volte, invece, lo vedo di semi profilo. Naturalmente ha una grande importanza per me. Non ho mai avuto una visione di Gesù Cristo, né della Vergine, soltanto un paio di sogni su Yogananda. Certamente sono diventato più intuitivo. Più saggio? La saggezza è una cosa seria, impegnativa; non posso presumere di averla raggiunta.

Anna: A distanza di cinquant’anni puoi dire che il Kriya Yoga ha aiutato il tuo cammino di monaco cristiano? Lo consiglieresti ai tuoi confratelli?

Thomas: Chi è così povero di qualità morali e spirituali com’ero io deve per forza praticare il Kriya Yoga; ci vuole qualcosa di potente! Per dire che non è un merito l’averlo praticato. Lo diceva anche Yogananda. Quando gli domandavano se era un “realizzato”, evitava il discorso. Io non posso fare diversamente da lui, anzi devo fare di più, perché sono ancora lontano dalla piena “realizzazione”.

Anna: Tutti i testi, sia induisti sia buddhisti, parlano del terzo occhio, la stella a cinque punte inscritta in un cerchio d’oro e circondata da un altro cerchio azzurro opalescente. Molti anni fa, in un periodo di dolorosa convalescenza, mentre meditavo mi apparve improvvisamente la stella a cinque punte di cui tanto avevo sentito parlare. Notai subito che aveva una particolarità, mancavano le due punte inferiori. Quando ne parlai con Swami Sharananda Giri, all’epoca responsabile dell’ashram dell’SRF di Dwarahat, sull’Himalaya, rispose con la sua garbata ironia “Volevi aggiungere tu con la matita le due punte”? Se la stella rappresenta l’archetipo dell’uomo, la testa, le due braccia, e le due gambe, certamente a me mancavano i piedi e mancano tuttora. E questo spiega forse perché io mi senta così sradicata.

Thomas: Dal tono ironico della sua risposta mi parrebbe un maestro molto severo.

Anna: Swami Sharananda Giri è una delle persone più belle che io abbia mai incontrato. Passava giornate intere accanto a noi facendoci dono della sua profonda saggezza. Ex alto ufficiale dell’esercito indiano aveva partecipato alla seconda guerra mondiale al seguito dell’esercito inglese, ed era stato anche in Italia, nel napoletano. Parlava volentieri degli italiani che aveva incontrato, semplici e generosi. Ricordava ancora qualche parola. A cinquantacinque anni lasciò la moglie e i due figli per dedicarsi unicamente a Dio e si fece monaco nell’ordine della SRF. Era severo e con me lo fu moltissimo nel nostro primo incontro. Mi rimproverava per qualsiasi cosa, finché una sera andai nella mia piccola camera spartana, una branda, un tavolinetto, una sedia, e scoppiai a piangere. Pensavo, ho attraversato il mondo per venire fin qui, ho fatto dodici ore di taxi, prima tra affollate e polverose città indiane, poi inerpicandomi su tortuose e pericolose strade di montagna, per essere trattata male! Poi capii che dovevo smetterla con il mio vittimismo e con la mia vulnerabilità. La mia anima non può essere toccata da nulla. Solo l’ego può essere ferito. E fu subito grande amore e stima reciproca.
           
    Per arrivare al piccolo villaggio di Dwarahat si attraversano le catene dell’Himalaya, fino a duemila metri di un verde intenso. Non si è lontani dai confini con il Tibet e in linea d’aria con il monte Kailash, sacro agli indù, ai buddhisti, ai giainisti e alla religione primitiva bon. L’ashram di Yogananda, che comprende anche una scuola elementare gratuita per i bambini del villaggio, è meta di pellegrinaggio per quanti vogliono visitare le grotte di Babaji, l’immortale avatara, di cui parla Yogananda nella sua autobiografia. Per arrivare alla grotta, bisogna prima raggiungere con la macchina una radura, un’ora di viaggio dall’ashram, per poi salire a piedi per un’altra ora e mezza. La sosta è breve perché bisogna tornare indietro e c’è sempre il pericolo di un monsone in arrivo. Ma Swami Sharananda Giri ci faceva partire equipaggiati, ombrelli e giacconi, oltre a qualcosa da mangiare, chappati e frutta. Durante il cammino a piedi lungo il viottolo di montagna, fangoso e con il rischio di essere oggetti di attenzione da parte di qualche sanguisuga, si incontrano soltanto due o tre case di contadini con la stalla per gli animali. In quel posto deserto, ai confini del mondo, sul tetto delle case spiccava l’antenna della televisione!

Thomas: Non sono mai arrivato fin lassù, le mie permanenze in India sono state quasi tutte al sud, nel Tamil Nadu, che certo non manca di persone di valore come Swami Sharananda. È di Madras uno dei santi dell’induismo, che tu hai visto perché era sul podio con me ad Assisi nel 1994, quando tu ed io ci siamo conosciuti. Parlo di Swami Chidananda, nato nel 1916 e divenuto monaco nel 1943 sotto la guida del grande Swami Sivananda Saraswati, fondatore della Divine Life Society. L’ho incontrato per la prima volta nel 1979 a Zinal in Svizzera, durante un convegno dell’Unione europea dello Yoga. Dovevo tenere una conferenza e, arrivato alla sala del convegno, l’ho trovata gremita di persone che trattenevano Swami Chidananda con le loro domande. Mi sono messo in fondo alla sala ad ascoltare. A un certo punto si è accorto della mia presenza, riconoscendomi per l’abito monastico che vestivo. Ha subito interrotto, si è alzato ed è venuto verso di me. Mi ha abbracciato con grande calore e, sorridendo, si è scusato per aver ritardato l’inizio della mia conferenza. Che splendida lezione di umiltà mi fece in quel momento! Una lezione di amicizia, di vera fratellanza, poiché mi ha fatto sentire che l’aver professato i voti monastici ci ha resi confratelli nel grande Ordine universale dei rinunzianti di cui parlava Henri Le Saux. L’ho rivisto tre o quattro volte, in varie parti del mondo, è scomparso nel   2008 a novantadue anni.

Nessun commento:

Posta un commento

Duo Concertante - indice

Anna M. Pinnizzotto                                             Thomas Matus   Duo concertante Dialoghi di vita quot...