giovedì 4 ottobre 2018

Essere monaco oggi


Essere monaco oggi

Anna: In una società così percorsa da fremiti autodistruttivi ha ancora senso oggi decidere di diventare monaco?

Thomas: Vedo il senso della mia scelta monastica in Gesù che sale sul monte a pregare e viene trasfigurato. Allo stesso tempo sento i fremiti della società di cui facciamo parte. Cerco Dio nella contemplazione, perché Dio ha iniziato un dialogo diretto con me; mi ha cercato nel mondo, là dov’ero, e mi ha trovato. La teologia usa un’altra espressione: ogni vocazione è una grazia; viene da Dio, non solo dalla scelta dell’individuo. Anche senza ricorrere alla teologia, trovo un senso nell’essere monaco. L’India mi ha rivelato l’ideale del pellegrino dell’Assoluto che cerca di realizzare in sé e di manifestare al mondo una realtà trascendente di là di ogni nome e da ogni forma. La posizione interreligiosa del monaco ha grande importanza; rafforza la mia convinzione che l’essere monaco è un servizio per il bene comune di tutta l’umanità.

Anna: Il monaco, nell’isolamento dell’eremo, impegna tutte le sue energie per realizzare se stesso, per santificare la sua persona. Il sacerdote, invece, è costretto dalla sua funzione pastorale a vivere tra la gente; mette la sua vita e il suo tempo a disposizione del popolo di Dio.

Thomas: Il monaco è a servizio dell’umanità, sia che realizzi la sua vocazione pubblicamente, in un istituto monastico, sia che la viva da eremita, ignoto e ignorato da tutti. Il sacerdote, invece, ha una funzione impersonale, legata sia alle istituzioni, sia alla gente. La validità del ministero di un sacerdote non dipende dalla sua santità personale. Tu ricevi il sacramento, anche quando chi te lo conferisce non è un santo. Il monaco, invece, è votato alla santità, e la sua vocazione porta benefici agli altri in quanto egli coopera con la grazia santificante.

Anna: Avalokiteshvara, il bodhisattva[i]per eccellenza del buddhismo mahayanico, è il realizzato che sceglie di reincarnarsi e di tornare sulla terra unicamente per aiutare gli altri esseri viventi. Egli ama tutti come fossero suoi figli. La compassione è la molla che lo spinge ad abbandonare la sua pace e la sua felicità personale per condividere le sofferenze degli altri. Chi sceglie la vita monastica, invece, preferisce la solitudine dell’eremo al contatto continuo e contaminante con la vita.

Thomas: Come sono i nostri eremi oggi? La gente entra, ci vede, ci sente, e noi l’accogliamo volentieri. Il monaco è chiamato a essere una persona ospitale, disposta anche a infrangere le regole del digiuno e del silenzio per accogliere chiunque arrivi alla sua porta. Però la vocazione del monaco lo porta alla solitudine e lo colloca ai margini della società.

Anna: La meta, la propria santificazione, può diventare più importante dell’amore e della carità per il prossimo. Non si corre forse il rischio, in queste condizioni, di alimentare l’ego, l’orgoglio spirituale?

Thomas: Certo, si può diventare egoisti anche nel monastero. Secondo la Regola benedettina, santificarsi significa amare e rispettare tutti.

Anna: Non si è monaci per scelta, per vocazione interiore? Bisogna necessariamente scegliere una veste e un ordine?

Thomas: Non necessariamente. Per scelta e per grazia vocazionale, uno può indossare la veste di monaco. D’altra parte per comodità oggi si preferisce non portare sempre l’abito monastico nei monasteri.

Anna: Ho trovato, infatti, curioso vedere i monaci, all’interno o all’esterno della loro comunità, girare in jeans.

Thomas: Le vesti, le regole, le osservanze servono per formare il monaco. È vero che siamo sempre in formazione, ma l’essenza del monacato non sta né nell’abito né nelle regole. San Benedetto direbbe: sta nella ricerca di Dio.

Anna: I monaci non hanno delle regole ben precise che non possono contravvenire, dei limiti? Quello che stai dicendo non è una contraddizione? Anch’io credo di cercare Dio, ma non ho scelto la vita monastica. Dunque, se non è necessaria la veste, si può essere monaci a prescindere dalla regola?

Thomas: A volte, per essere monaci davvero, bisogna abbandonare certe regole. Ti faccio l’esempio di due eremiti italiani che mille anni fa andarono missionari in Polonia; decisero di non indossare la tonaca per utilizzare i vestiti dei contadini polacchi. Rinunciarono ai segni esteriori per adattarsi alla cultura di coloro ai quali portavano il vangelo. Si erano proposti di portare un messaggio di pace a un popolo violento ma furono uccisi. Non hanno predicato a nessuno, non hanno fatto proseliti, non hanno battezzato. Questa fu la loro evangelizzazione.

Anna: Un sacerdote e un monaco hanno entrambi gli stessi voti di castità, povertà e umiltà. Ciò che distingue le due vocazioni religiose, quindi, sta proprio nel vivere questa scelta in solitudine o in mezzo agli altri.

Thomas: Sono due archetipi diversi, due funzioni religiose diverse. Il monaco non ha una funzione religiosa precisa, anche se l’archetipo monastico si esprime nelle grandi culture tramite un’esperienza religiosa. Il monaco pratica la sua religione, ma vive ai margini di essa. Proprio la marginalità del monaco è la sua nota caratteristica. Chiamato alla solitudine del deserto, il monaco si trova fuori delle strutture religiose, specialmente quando queste sono legate alle strutture sociali del potere.

Anna: Marginalità rispetto all’istituzione della Chiesa?

Thomas: Rispetto a qualsiasi religione. Prendiamo il buddhismo, per esempio, è una religione monastica. A un certo punto i monaci hanno cominciato a svolgere funzioni del clero, e allora è iniziato il declino storico del buddhismo in India. La solitudine del monaco eremita — o dei monaci cenobiti che stanno insieme nella solitudine — lo differenzia dal sacerdote. Il sacerdote svolge funzioni sacre, anima la comunità che prega, insegna la dottrina della fede. Il monaco semplicemente prega e lavora.

Anna: Potremmo dire che il monaco vive fuori dal mondo e il sacerdote è nel mondo?

Thomas: Il sacerdote ha una collocazione che lo delimita all’interno del mondo, mentre il monaco è uno che liberamente spazia nel mondo e fra i mondi di qua e di là.



[i]Bodhisattva: letteralmente, “un essere destinato all’illuminazione [bodhi]”, un “futuro Buddha”. Nella tradizione buddhista detta “del grande veicolo [mahayana]”, i bodhisattva sono figure leggendarie che incarnano le varie virtù, soprattutto la compassione e l’amicizia (karuna e maitri) che raggiungono la loro perfezione nel Buddha storico, Gautama il Sakyamuni. Con il “voto del bodhisattva” una persona sulla soglia del nirvana s’impegna ad anteporre al raggiungimento della propria beatitudine la liberazione dalla sofferenza di tutti gli essere viventi.
5 Paramahansa Yogananda, grande maestro indiano, visse negli Stati Uniti per più di trent’anni. La sua Autobiografia di uno Yogi, è uno dei libri più diffusi nel mondo. Ha fatto conoscere agli occidentali la tecnica del Krya Yoga.

Nessun commento:

Posta un commento

Duo Concertante - indice

Anna M. Pinnizzotto                                             Thomas Matus   Duo concertante Dialoghi di vita quot...