Essere santi oggi
Anna: Nella gerarchia
cattolica non c’è la figura del Guru com’è inteso in India. Un maestro
realizzato che ha l’incarico di guidarti nella ricerca spirituale verso Dio.
Thomas: Non ci sono dei guru
nel senso indù, però ci sono i padri spirituali. Oggi si notano di meno; nei
tempi primordiali della chiesa bisognava uscire nel deserto per trovare queste
guide. Ora ci sono anche le madri del deserto, e abitano nelle città come nei
conventi. Nella mia California se ne trovano diverse.
Anna: Nel passato c’erano san
Francesco e santa Chiara, che avevano un grande carisma; più vicino a noi padre
Pio, che io non ho conosciuto, dichiarato santo da Giovanni Paolo II nel 2002.
Thomas: Per molte persone Padre Pio è stato una guida. Aveva un
cuore grande, amava i malati, i sofferenti, i peccatori. Mi lasciava perplesso
il suo modo di fare nel confessionale, quello di smascherare i peccati di chi
andava da lui. Forse Dio gli manifestava la coscienza dei suoi penitenti, ma
io, anche se avessi i suoi “poteri”, non lo imiterei. Da penitente devo dire
tutto il mio peccato; se qualche volta sono poco sincero, posso tornare
un’altra volta. Come sacerdote devo solo
ascoltare e dispormi a essere il canale aperto della misericordia di Cristo;
non tocca al prete denunciare i misfatti del penitente.
Pochi giorni dopo la sua ordinazione, Karol
Wojtyla, allora solo un giovane prete, si recò da Padre Pio; alla fine della
confessione si sentì dire: “Attenzione, la tua veste bianca si macchierà di
rosso”. Giovanni Paolo II la intese come profezia della sua investitura.
Anna: Fa pensare piuttosto a
una predizione dell’attentato che Giovanni Paolo II ha subito in Vaticano il 3
maggio del 1981 da parte di un killer professionista, il turco Alì Agca. Papa Wojtyla è stato proclamato santo da Papa
Francesco insieme a Papa Giovanni XXIII nel 2014.
Thomas: L’espressione usata da
Padre Pio è molto comune nella letteratura sul martirio, tutti i cristiani sono
vestiti di bianco nel battesimo, tutti sono chiamati a testimoniare l’amore di
Cristo e alcuni dovranno rendere testimonianza con il martirio di sangue.
Inoltre, il giovane don Karol era polacco, la bandiera della Polonia — allora
da poco caduta sotto il comunismo — consiste in una striscia bianca che
sovrasta una rossa. Secondo me, è un oracolo di tipo delfico, sarebbe stato
vero qualunque cosa fosse avvenuta.
Anna: In questi tempi non si
parla più di santi al livello di san Benedetto, sant’Antonio, santa Chiara, san
Francesco, considerato dagli indiani lo yoghi occidentale. Alla mancanza di
vocazioni si aggiunge una mancanza di santità.
Thomas: Invece non si parla
d’altro. Giovanni Paolo II ha beatificato mille persone!
Anna: Ha beatificato mille
persone ma nessuna aveva una statura spirituale come san Francesco. Non
essendoci queste grandi figure, Giovanni Paolo II ha beatificato piccoli santi.
Il cardinale Silvio Oddi, in un suo libro, ha criticato per questo il Papa, definendo il Vaticano una fabbrica di santi.
Thomas: Non sono d’accordo con
il cardinale Oddi! Small is beautiful!
È bellissimo beatificare santi piccoli, come Piergiorgio Frassati e quella
madre, medico, malata di cancro, che ha preferito salvare il bambino che
portava in grembo piuttosto che prendere i medicinali che l’avrebbero fatta
abortire. Ha avuto la visione di Dio prima di morire. Le sue ultime parole al
marito furono: “Sono tornata per un momento per salutarvi. Ti dirò dopo quello
che ho visto, ho visto Dio”.
Il mio professore di teologia morale, prima
che il martire Maximilian Kolbe fosse stato beatificato, lo propose come un
caso da analizzare in classe. “Si dà il caso di un sacerdote in un campo
nazista di concentramento. Dieci prigionieri sono condannati a morte, fra cui
un padre di famiglia. Può il sacerdote offrirsi di morire al suo posto?”. Il
professore disse che il sacerdote, rimanendo in vita, avrebbe potuto fare di
più, confortare i prigionieri nel campo di concentramento, ma alla fine giunse
alla conclusione che, sì, era lecito offrirsi. Io lo ascoltavo furibondo, e mi
chiedevo “Che cosa sta dicendo? La santità non è un caso morale!”.
Anna: Basta quel gesto eroico,
quel gesto di santità per superare tutti gli errori del passato?
Thomas: Basta un amore
totalizzante che copre tutta la vita. San Kolbe l’ha fatto per amore, non ha
ragionato mettendo sulla bilancia il sopravvivere per assistere e assolvere i
poveri peccatori che andavano nella camera a gas, contro l’andarci lui stesso
per salvare una vita. In quel momento rispose alla sua vocazione. Era un buon
francescano ed è morto come gli ebrei, pur non amando gli ebrei, come tanti
polacchi.
Diventare santi vuol dire far crescere in sè
le qualità che manifestano Dio, egli è “il solo santo”, come canta la liturgia:
Tu solus sanctus.
Anna: Tutti gli esseri umani
hanno questa qualità, perché se Dio esiste questa scintilla divina è in ognuno
di noi. La santità è vivere! Essere santi significa vivere tutti i giorni
questa vita, attraversare questo mondo, a volte perverso, diabolico, cattivo,
senza esserne travolti, portandosi dietro le ferite fino alla fine. Questa per
me è la vera santità!
Thomas: Quanto dici mi ricorda
la lettera di Giacomo, il libro più buddhista del Nuovo Testamento. “La
religione pura, il vero culto di Dio, è questa: soccorrere le vedove e gli
orfani nelle loro afflizioni e tenersi puri da questo mondo” — in altre parole,
mostrare compassione a chi soffre e distaccarsi da ciò che non conduce al
nostro fine ultimo. Cristiani e buddhisti s’incontrano in questa duplice regola
di compassione e di distacco. Questo è imparare a vivere, non c’è niente di
più, niente di meglio nell’ideale della santità.
Anna: E allora non ha senso
rifugiarsi nei monasteri! È la paura quella che ti allontana dal mondo.
Thomas: Oggi nessuno si
“rifugia” in monastero. Se sono qui a parlare con te, è chiaro che non ho paura
e che non mi allontano da niente. Cerco di vivere monasticamente, perché Dio mi
chiama a vivere così in questo mondo. La religione come vita vissuta non è
l’etichetta di appartenenza a questa o a quell’altra religione.
Anna: Le religioni servono
alle persone che sono all’inizio del cammino spirituale, perché impongono
disciplina, regole d’igiene fisica, mentale, psichica. Impongono, appunto,
delle abitudini di preghiera, dei cerimoniali, dei riti. Quanto più si è avanti
nel cammino, più ci si deve liberare anche da queste abitudini, perché
imprigionano, impediscono di volare. Sono troppo restrittive, costrittive, e
l’essere umano ha bisogno di libertà. Quando un devoto ha assunto una certa
perfezione interiore e vive con un’etica, una morale, non dovrebbe sentirsi
obbligato ad andare a Messa perché altrimenti è destinato all’inferno. Lui Dio
ce l’ha dentro. E magari deve sorbirsi la predica moralistica del sacerdote che
il giorno prima è andato in una casa squillo o ha concupito un giovane
seminarista!
Thomas: Nei nostri monasteri
ho conosciuto molte persone mature, compassionevoli e sagge che, pur nella
massima libertà interiore, partecipavano ai riti liturgici, insieme con i
principianti, anche per incoraggiarli.
Anna: Abbiamo cominciato
parlando di santità e stiamo finendo parlando di santità. Siamo tornati al
punto di partenza dopo aver ragionato attorno a questo argomento.
Thomas: Non ti posso dire
quanta gioia mi ha dato la santificazione di papa Giovanni XXIII. Avrebbero
dovuto farlo santo per acclamazione! Ci sono processi di canonizzazione che
durano decenni. Oscar Romero, vescovo pacifista del Salvador, ucciso nel 1980
dagli squadroni della morte mentre celebrava la Messa, è già santo in America
Latina e ora lo è anche per il Vaticano. Il 23 maggio 2015 è stato beatificato da
Papa Francesco e il 14 ottobre 2018 è stato proclamato santo insieme a papa Paolo VI.
Anna: Dopo anni di
boicottaggio da parte del Vaticano! Giovanni Paolo II e Benedetto XVI diffidavano
di questo vescovo, secondo alcuni vicino alla “teologia della liberazione, era
considerato un “vescovo rosso”. Papa Bergoglio, primo papa sudamericano, è
stato determinante nell’accelerazione del processo di beatificazione.
Thomas: Ha fatto bene il nostro
Papa! Un giornale cattolico americano vicino alla teologia della liberazione ha
pubblicato un disegno che mostra Papa Francesco che sta sistemando sullo
scaffale della sua biblioteca i volumi dei documenti del Concilio Vaticano II;
i due ferma libri, a sinistra e a destra, portano l’immagine rispettivamente di
Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II. Quanto alla beatificazione di Oscar
Romero, secondo me, sarebbe un controsenso fare un processo a un martire,
perché nel momento stesso in cui compie il gesto supremo, è già stato tutto
purificato, non soltanto per quanto riguarda la sua persona: il sangue del
martire redime anche chi lo sparge. Io spero che Stalin vada in paradiso. È
l’unica vendetta che può soddisfare il mio senso di giustizia, che Stalin incontri
in paradiso quel santo, da lui ucciso, la cui preghiera ha meritato la sua
salvezza.
Anna: Anche Hitler merita il
perdono e il paradiso?
Thomas: Hitler non merita che
l’inferno, ma un solo ebreo — magari una bambina — che pregò per lui al momento
di inalare il gas mortale, può avergli consentito il perdono divino.
Voglio parlarti di una santa americana, non
ancora beatificata, che ho conosciuto personalmente nel 1961. Era appena uscita
dal carcere di New York, dove era stata brevemente rinchiusa dopo una sua
ennesima dimostrazione non–violenta contro gli armamenti atomici. Si chiamava
Dorothy Day. Venne a parlare al piccolo gruppo di cattolici dell’università
dove studiavo lettere e musica. Pacifista e anarchica, era stata comunista
negli anni venti, scriveva per il Daily
Worker e per altri giornali di sinistra. Dopo anni d’impegno nelle lotte
sindacali e sociali, arrivò alla conclusione che prima di tutto voleva pregare.
Si era accorta che i comunisti americani non andavano veramente alla radice della
povertà e della miseria; quindi si fece cattolica e creò il Catholic Worker, un giornale con lo
stesso formato tipografico del quotidiano comunista. Catholic Worker costava un penny,
un centesimo di dollaro, e Dorothy lo vendeva all’angolo della strada. Se sarà
beatificata, sarà la prima santa ad aver scelto di abortire clandestinamente,
prima della sua conversione. Ebbe poi una figlia, che ha cresciuta da sola,
perché il marito l’aveva lasciata quando si è fatta cattolica.
Anna: Una santa del nostro
tempo. Lo stesso Papa Francesco ha citato Dorothy Day nel suo discorso al
Congresso degli Stati Uniti. E l’arcivescovo di New York, il cardinale, John
O’Connor, affermò alcuni anni fa, nel corso di un’omelia, che gli sarebbe
piaciuto vedere la santificazione di Dorothy Day. Infine, l’arcivescovo di New
York, Timothy Dolan, nel 2012 l’ha proposta come candidata alla canonizzazione.
Doveva essere una donna molto coraggiosa, battersi contro la guerra in Vietnam,
contro le tasse ingiuste, aveva fondato una comune nell’East Village, sulla
Terza Strada. La stessa Dorothy un giorno disse: “Quando cominciano a chiamarti
santa, vuol dire che non ti prendono più sul serio”.
Mi piacerebbe chiudere il nostro dialogo tra cielo e
terra con questa speranza di santità diversa, più vicina ai nostri tempi e ai
nostri valori. In tutti i miei viaggi in India mi è capitato di incontrare
molti guru, persone sagge, ma una sola volta ho avuto la netta sensazione di
stare di fronte a un essere perfetto, un Illuminato, un Buddha vivente. I suoi
occhi avevano uno sguardo intenso e profondo, specchio di un’immensa forza
interiore, il suo sorriso appena accennato era dolce e rassicurante. In lui non
era percepibile nessuna umana debolezza. Sto parlando del Karmapa, seconda
figura spirituale dopo il Dalai Lama, il giovane dal volto bellissimo, fuggito
dal Tibet e ora rifugiato in un monastero a Dharamsala.
Thomas: Si sente l’espansione
del cuore alla presenza di un santo vivente. Per esempio, l’ho sentita alla
presenza di Bede Griffiths e anche di swami Chidananda, che tu ed io abbiamo
ascoltato al convegno yoga di Assisi nel 1997.
Anna: Vorrei ricordare allora
la preghiera molto bella di San Francesco, recitata proprio da swami Chidananda
all’inizio di una sua conferenza. Uno yoghi orientale che rendeva omaggio a uno
yoghi occidentale.
Thomas: Recitiamola insieme.
“Signore,
fammi strumento della tua pace:
dove
c’è odio che io porti perdono;
dove
c’è dubbio che io porti fede;
dove
c’è disperazione che io porti speranza;
dove
c’è disaccordo che io porti armonia;
dove
c’è conflitto che io porti unità;
dove
c’è buio che io porti luce;
dove
c’è tristezza che io porti gioia.
O
divini Maestri,
non
voglio essere compreso ma comprendere;
non
voglio essere consolato ma consolare;
non
voglio essere amato ma amare;
perché
è nel donare che ricevo;
perché
è nel perdonare che vengo perdonato”.
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