Abbandonarsi
all’amore
Anna: In tutti questi anni di
vita monastica non ti è mai successo di avere dei dubbi, di chiederti: “E se la
mia ricerca fosse vana? Se oltre la vita ci fosse soltanto il Nulla?”. Non sei
mai stato disperato al punto di voler abbandonare tutto?
Thomas: Dubbi sì, disperazione
no. Un giorno, era il 1958, poco dopo l’iniziazione al Kriya Yoga, mentre stavo
meditando, mi passò per la mente la stessa domanda che tu mi hai fatto: “E se
fosse tutta un’illusione?”. Sentivo l’enorme peso dell’io, la palla di ferro
che mi incatenava alla mia soggettività, prigioniera dietro le piccole finestre
dei miei occhi. Ero sul punto di lasciare lo yoga, la meditazione, il rapporto
religioso con l’Assoluto, quando mi venne in mente Gautama Sakyamuni, il
Buddha. E pensai: “Come il Buddha decise di restare seduto sotto l’albero
finché non avesse raggiunto l’illuminazione, così devo continuare a meditare
finché non avrò una risposta”. In quel momento amai il Buddha. E ancora lo amo
e lo ringrazio. È un santo, Gautama il Buddha, il più grande santo vissuto
prima di Maria Vergine. Lo devo alla sua intercessione se con quella
tentazione, la più terribile tentazione della mia vita, non caddi nella
disperazione.
Anna: Posso continuare a
provocarti? “Chi rinuncia al mondo non è un uomo religioso; è semplicemente un
egoista”, dice Rajneesh. Lo stesso concetto lo aveva già espresso un poeta sufi
del Cinquecento, Jayasi, che indicava come via privilegiata l’ascesi interiore.
E Yogananda cita un proverbio persiano: “Cerca la verità nella meditazione e
non nei libri ammuffiti. Per cercare la luna guarda il cielo, e non nello
stagno”.
Thomas: Devo forse pensare che
la mia rinuncia monastica non sia altro che egoismo? Non credo questo, ma
nemmeno ritengo di aver raggiunto un livello superiore rispetto agli altri
uomini, che non sono monaci.
Anna: “Mahamudra non poggia su
nulla. Sii nulla, e raggiungi tutto. Muori, e divieni un dio. Dissolviti, e divieni
il tutto. Scompare la goccia e nasce l’oceano”. E Rajneesh commentando il canto
del grande maestro tibetano Tilopa, dice: “Non aggrapparti a te stesso, non
aggrapparti alle piccole cose, perché questo è soltanto un riflesso di un vuoto
interiore. Quando ci si lascia cadere nell’abisso si diviene l’abisso stesso. E
non c’è più morte, perché l’abisso non può morire; e non c’è più fine perché il
nulla non ha fine”.[i]
Thomas: È fortemente
paradossale, ma va bene. Un filosofo può permettersi di dire queste cose, ma è
troppo pericoloso insegnarle a chi non è preparato spiritualmente e
psicologicamente. Osho Rajneesh parlava a persone nevrotiche e prive di
un’identità personale e culturale. Molti di quelli che lo seguivano sono finiti
in manicomio o con l’AIDS.
Anna: In effetti, non si può
dire: “Lìberati da ogni costrizione, da ogni limite, da ogni regola, fai
soltanto quello che senti nascere dentro di te”. Perché se una persona è
disturbata, non ha elaborato ancora un’etica, può accadere di tutto. A mio avviso
l’errore di Rajneesh è stato proprio quello diffondere una teoria così elevata
a gente impreparata. Babaji, il guru di Lahiri Mahasaya, affermava: “La verità
è solo per coloro che la cercano seriamente e non per quelli che provano
soltanto una vana curiosità”.
D’altra parte lo stesso Rajneesh ricorda che
ci sono maestri che hanno percorso migliaia di chilometri per trovare un
discepolo e lo stesso Tilopa dovette andare in Tibet per incontrare Naropa. E
Naropa fu fortunato e incontrò Marpa e Marpa Milarepa. Ma dopo Milarepa la
tradizione tantrica cessò. Nessuno fu in grado di raccogliere gli insegnamenti.
Quindi la verità, la saggezza, l’iniziazione sono per pochi, per chi è in grado
di raccogliere il seme dentro di sé e farlo germogliare. Non è per tutti. Non
si può dare indiscriminatamente. Non è forse Gesù che dice: “Non date le perle
ai porci”?
Thomas: Il rimedio per il
disorientamento e la confusione di questa gente malata non è l’imposizione di
una struttura esteriore ma una trasformazione interiore. Questa non si ha con
un rilassamento a livello psicologico soltanto, ma a livello del nodo centrale
dell’anima, il punto dell’intimo contatto con Dio. A quel punto non devi
intensificare la tensione ma lasciarti andare in modo che Dio possa agire in
te. In inglese lo diciamo con un’espressione intraducibile: “Let go and let God”. Riuscirai a farlo
se sarai consapevole dell’economia divina universale a favore della tua piena
liberazione e divinizzazione, se prenderai coscienza di ciò che in termini cristiani
ma anche in termini della Bhagavad Gita si
chiama “grazia”, cioè, se ti renderai conto che l’amore precede lo sforzo ed è
la causa prima dello sforzo, e che il fine è puro dono, allora saprai fare a
meno dello sforzo. L’abbandonarsi all’amore è la condizione per ricevere la
grazia divinizzante. Gesù lo dice così: “Chi vorrà salvare la propria vita, la
perderà, chi invece la perderà la salverà”.
Anna: E Rajneesh a proposito
dell’amore scrive: “L’amore è qualcosa che accade, non qualcosa che si fa; se
ci sforziamo di amare, stiamo mettendo in gioco l’ego. Per amare una persona
bisogna che il tuo ego si neghi. Perciò l’amore è così difficile”.
Thomas: L’amore non accade né
si fa. L’amore si dona e si accoglie come dono.
Anna: Gesù parlava di Dio in termini
di amore perché conosceva il Mahamudra, sostiene Rajneesh. Prima di cominciare
a insegnare a Gerusalemme, sarebbe stato in India, in Tibet, dove avrebbe
conosciuto maestri come Tilopa e Naropa. Un concetto ripreso da altri, che
parlano di una lunga esperienza di Gesù con gli yoghi indiani.
Thomas: Sono ipotesi campate
in aria. Se domani si dimostrasse con prove veramente scientifiche che Gesù è
stato in India, non cambierebbe niente né aggiungerebbe nulla a quello che Gesù
è, Dio Amore divenuto carne che muore amando e risorge. Quanto ai “maestri” egli
poteva trovare maestri dell’amore vicino a casa sua, e poi, come dice
sant’Efrem, Gesù è stato ammaestrato dalla sua “Madre”, lo Spirito santo.
Anna: Nella cultura orientale
non esiste il concetto di peccato e di virtù. Esiste l’ignoranza dovuta a Maya, l’illusione, e la saggezza che si
conquista con la meditazione.
Thomas: Oggi i moralisti
cattolici parlano poco delle virtù. Evitano l’argomento senza dirlo, perché
nessuno oserebbe scartare apertamente tutta la dottrina cristiana sulle virtù.
Insegnare la morale senza dare la preminenza al discorso sulle virtù è un
errore. La virtù non è qualcosa di astratto ma s’incarna nell’exemplum, nella verità vissuta dai
santi. Non basta solo professare la verità rivelata; si deve viverla. È quanto
insegnava il più grande moralista cattolico, un certo signore di Firenze nel
XIV secolo. La Divina Commedia è il
massimo testo di teologia morale. Sono del parere che la morale vada insegnata
attraverso la poesia o la narrativa, non attraverso la filosofia, la metafisica
e tanto meno attraverso le leggi, il diritto. La morale deontologica, la morale
della legge, è un tradimento della saggezza cattolica, ma sta prendendo il
sopravvento a Roma. Meglio allora, in certo qual senso, è l’identificazione
indiana e socratica del vizio con l’ignoranza e della virtù con la saggezza.
Anna: Al discorso come
superare l’ignoranza e come trasformare l’ignoranza in saggezza, Tilopa
risponde: “Restando sciolti e naturali è possibile spezzare il giogo e ottenere
la liberazione”. E Rajneesh commenta: “Non entrare in conflitto con te stesso,
non cercare di circondarti di una struttura, di darti un carattere, una morale;
non importi una disciplina eccessiva, o la disciplina stessa diverrà un
legame”. Così, infatti, si sono comportati i suoi discepoli, hanno inteso di
poter seguire liberamente i propri istinti, i propri desideri, per finire poi
negli eccessi che sappiamo.
Certo Rajneesh era un uomo controverso,
inquietante. Il suo non era il volto di un asceta, di un mistico, però in
questo libro sul tantra ci sono dei passi di grande acutezza, di grande
profondità, come: “Non andare a cercare qualcuno da aiutare. Se sei tu che vai
a cercare qualcuno da aiutare, una cosa è certa: non sei la persona giusta per
portare aiuto. Se sei tu che ti metti a fare, fai danni. Cacci solo il naso
negli affari degli altri. Lasciali essere loro stessi: non disturbandoli
dimostri una compassione sufficiente. Non cercare di cambiarli: non sai quello
che fai. Solo un illuminato è in grado di aiutare, il suo aiuto fluisce
spontaneamente”. Un cieco non può aiutare un altro cieco ad attraversare la
strada. Queste parole dovrebbero meditarle quei ferventi cattolici che si danno
tanto da fare per convertire i laici ottenendo in genere il risultato opposto.
Thomas: Hai citato Gesù,
Matteo 15,14. “Quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un
fosso”. Quanto al darsi da fare per “convertire” gli altri, solo chi ha poca
fede e molta presunzione pensa così. Lo stesso si dica di quelli che vanno ad
“aiutare i poveri” nel cosiddetto Terzo Mondo, con lo scopo di farne “cristiani
del riso”, la povera gente che accetta anche la predica, pur di mangiare un
piatto di riso. I veri missionari sono quelli che riconoscono che la
“conversione” è opera dello Spirito santo nella coscienza di ognuno.
Anna: Se nella coscienza di
ognuno opera lo Spirito santo, anche le diverse religioni o culture religiose
sono opera dello Spirito santo.
Thomas: Lo ha detto
implicitamente il Concilio Vaticano Secondo. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptoris missio, ha affermato che lo
Spirito santo opera in ogni anima che prega. Nelle religioni dell’umanità c’è
anche una storia del male; nemmeno il cattolico più ortodosso sostiene che
tutto, nella storia della cristianità, è dello Spirito santo.
[i]Bhagwan
Shree Rajneesh, Tantra, la comprensione
suprema. Discorsi sul “Canto di Mahamudra” di Tilopa.Bompiani
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