Arjuna
e il dovere di uccidere
Anna: “Colui che pensa che sia
esso a uccidere e colui che pensa sia esso ad essere ucciso, sono tutti e due
in errore, perché esso non uccide né è ucciso”. E con parole quasi identiche
esprime lo stesso concetto la Katha
Upanishad.[i]
Poi Krishna aggiunge: “Esso non nasce mai né mai muore, né, essendo ciò che è
venuto ad essere, di nuovo cesserà di essere; è non–nato, eterno, permanente,
originario; non è ucciso quando il corpo è ucciso”.[ii] In altre parole, le armi non fendono il Sé,
il fuoco non lo brucia, né lo bagna, quindi si può anche uccidere un’altra
persona perché quello che muore non è il Sé, ma soltanto il corpo, un logoro
vestito. Sembra quasi una giustificazione di quello che si appresta a fare
Arjuna, sia pure con riluttanza, uccidere i suoi nemici, i cugini Kaurava. A
meno che non si intenda il messaggio della Bhagavad
Gita, lo abbiamo già detto, come un discorso metaforico, simbolico. Arjuna
deve uccidere la parte negativa che è in lui, il suo lato Ombra.
Thomas: Così l’insegnamento
della Bhagavad Gita è stato
interpretato, applicato e interiorizzato nella tradizione induista. Gli indù
sono abituati alle interpretazioni simboliche e allegoriche. È una possibile
interpretazione, ma il discorso ultimo della Gita è molto più sottile, in quanto richiede la rottura di piani,
lo spostamento da un livello inferiore a un livello superiore, al di là della
problematica morale. Non si tratta più di chiedere: “È lecito o no uccidere in
guerra?”. Si pone invece la questione: “Chi sono io che mi trovo in questo
dilemma?”.
Anna: Krishna continua il suo
discorso ad Arjuna: “Ma se tu non vuoi compiere questa lotta secondo giustizia,
allora, col mettere da parte il tuo dovere e la tua gloria, commetterai
peccato”.[iii]
Quindi colui che, per paura o per debolezza, rinuncia alla lotta nella vita
quotidiana, commette peccato. Prosegue: “Inoltre gli uomini parleranno sempre
della tua vergogna; e per uno di cui si è avuto sempre un’alta opinione, il
disonore è peggio della morte stessa”.[iv] “O
ucciso otterrai il cielo o, vincitore, ti godrai questa terra”.[v]
Insomma, lo sprona a superare tutte le remore, tutte le debolezze, tutte le
paure, la pietà, per andare avanti con la battaglia e vincere.
Thomas: Vedi, il problema sta
in quell’espressione che hai letto: “Se non vuoi compiere questa lotta secondo
giustizia, col mettere da parte il tuo dovere e il tuo onore, commetterai
peccato”.
Anna: Cioè, il peccato è avere
pietà?
Thomas: Sí, il peccato è avere
pietà. Vedo che sei perplessa, anzi, direi che la tua coscienza si ribella a
quest’affermazione.
Anna: Credo che dobbiamo
interpretare la Bhagavad Gita come
una metafora. Noi combattiamo la nostra battaglia quotidiana, la lotta è contro
i nostri demoni interiori, la nostra Ombra. Non posso pensare che Krishna
inviti Arjuna a uccidere un altro senza pietà perché quello è il suo dovere in
quel momento. Sono per la non-violenza gandhiana e in India la non violenza
credo abbia radici antiche. Quando mio figlio era piccolo mi sono chiesta più
volte se sarei mai stata capace di uccidere per difenderlo. Una madre può
uccidere per difendere i propri figli?
Thomas: Di nuovo tu mi poni un quesito di morale casistica. Non
posso giudicare un caso in astratto, fuori del suo contesto, cioè fuori della
realtà. Nel concetto mentale mi trovo disarmato e non ho una risposta, perché
mi tocca contraddire o il mio principio o il buon senso. E non voglio credere
che il principio della “non violenza” sia contrario al buon senso.
La Bhagavad
Gita è una grande metafora. Non dimentichiamo che Krishna dà voce a un
insegnamento religioso molto comune, che un uomo pio, nel compiere il suo
dovere verso la collettività, può arrivare a uccidere. Anzi, rischia il peccato
se non uccide. L’hanno detto tanti rabbini, vescovi, mufti, bramini. Ma non
l’ha detto né il Buddha né il Cristo. Anche la Bhagavad Gita, pur restando ambigua su questo punto, porta la
coscienza di là della questione morale. “Si deve o non si deve uccidere in
guerra?” Dio ci invita a lasciare il nostro tormento etico e ad abbandonarci al
suo amore gratuito e incondizionato.
[i]Katha Upanishad, libro I, cap. 2,19.
Edizione…….
[ii]Bhagavad Gita, cap. 2,19.20. Ubaldini
Cap. 2,20
[iii]Cap.
2,33.
[iv]Cap.
2,34.
[v]Cap.
2,37.
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