Amore
e monachesimo
Thomas: Un mio amico monaco
psicologo ha scritto — sotto pseudonimo per rispetto della sua comunità ma con
il permesso dell’abate — un bell’articolo che condivido in pieno. Insiste sulla
positività del sesso nella sua radice interiore, che definisce sexual inscape, “il paesaggio sessuale
interiore”. Ognuno di noi deve contemplare, sviluppare e sperimentare a livello
interiore la propria sessualità, perché senza l’esperienza prioritaria della
propria umanità, non ci può essere comunicazione sessuale con l’altra persona.
Le persone sessualmente sane hanno nel cuore l’atteggiamento degli amanti nel
Cantico dei Cantici. Si lanciano nell’amore, nel rapporto di affetto, ma sono
capaci di vivere quel rapporto anche a distanza, con la memoria, con il
sentimento.
È violenza gravissima invece l’abuso sui
minori. E’ violenza anche la colpevolizzazione e la punizione del bambino
quando scopre il proprio corpo, la propria sessualità, il proprio piacere.
Perché fa tanto male a un bambino ogni contatto sessuale con una persona
adulta? Perché l’adulto rappresenta la medesima autorità che puniva il bambino
quando si toccava. Questa è la tragica situazione del double bind, del “doppio legame”, che secondo Gregory Bateson è una
delle cause della schizofrenia. Al bambino va insegnato il vero significato
della sessualità umana, in un clima di rispetto per la sua sessualità, senza
abusi né repressione.
Anna: Hai citato prima le
parole del tuo amico, “paesaggio sessuale interiore”, un discorso
sull’atteggiamento affettivo principale sul quale deve lavorare il monaco. Ora
mi chiedo, scendendo su un piano più realistico, nella vita quotidiana, per un
monaco è forse preferibile il male minore dell’autoerotismo a un’esperienza
diretta della propria sessualità con una donna?
Thomas: Il monaco lavora sul
paesaggio interiore in un clima di preghiera e di abbandono a Dio, e il resto,
di conseguenza, si purifica e si equilibra. Non pretendo di aver raggiunto il
perfetto equilibrio, né qualsiasi altra perfezione, perché da monaco sono
proteso alla perfezione ultima, che si avrà solo nella nuova creazione, con la
resurrezione della carne. Questa tensione verso la fine dei tempi è
caratteristica della castità monastica. Quanto alla castità, san Benedetto
stabilisce solo due regole: Castitatem
amare, “Amare la castità”, e Caritatem
fraternitatis caste impendant, “Amarsi a vicenda castamente”.
Anna: Quindi un monaco può
amare un altro monaco e un monaco può amare una persona del mondo ma solo
castamente.
Thomas: La castità è amore, sebbene nell’amore si scopra anche
la nostra fragilità, la miseria umana.
Anna: Per te l’amore è un
esempio di fragilità?
Thomas: L’amore è sempre una
relazione fra due persone fragili, perché nessuno è pienamente integro. Quando
un uomo o una donna seguono la chiamata monastica, si orientano verso la realtà
assoluta, invisibile, eterna. Fermarsi lungo la strada non significa
necessariamente girare le spalle a quella meta, ma è certamente un’interruzione
del cammino, una caduta di tensione. Sì, è possibile peccare col sesso, ma il
sesso in sé non è peccato. La Chiesa dice che il sesso si realizza nel
matrimonio monogamico a vita. Paramahansa Yogananda diceva esattamente la
stessa cosa. Venir meno a quell’ideale è peccato. Ma è peccato, poiché va
contro la piena realizzazione del sesso.
Come possiamo professare la fede cristiana,
se abbiamo una visione negativa del corpo e della sessualità? Non è possibile!
Di qui la ribellione contro catechismi, encicliche e vari altri messaggi
emanati dalle autorità ecclesiastiche. Bisogna capire perché la gente si
ribella. Nella coscienza dei cattolici c’è il senso della corporeità della
rivelazione, della carnalità che trasmette la vita divina all’umanità. E
convinti di questo, nel nome del dogma cattolico, rifiutano discorsi negativi
sul sesso, sul matrimonio, sui sentimenti, sulle passioni. San Giovanni nella
prima lettera scrive dello spirito che viene da Dio e dello spirito che viene
dal maligno, è del maligno chi nega che il Figlio di Dio sia venuto nella
carne, nella nostra umanità.
Un discorso equilibrato tiene conto della
fragilità umana, della compassione di Dio e della compassione che bisogna avere
verso se stessi per restare sani di mente. Il discorso non va semplificato, ma
va sempre ricondotto alla visione biblica. Il Cantico dei Cantici è la storia
d’amore fra persone di stirpe diversa, lui è bianco, lei di carnagione scura.
Non sono ancora sposati e lui va di notte a casa di lei, ma anche lei va a
cercare lui ed esce di notte semi-vestita. Il Cantico dei Cantici è
scandaloso! Non è amorale, né immorale;
è parola di Dio. Certo, non devo leggerlo in modo fondamentalistico; devo farne
una rilettura spirituale, come allegoria delle nozze mistiche con Dio. Sotto
l’allegoria rimane il fondo misterioso dell’amore umano, una realtà già divina.
Anna: E quale esempio migliore
di nozze mistiche è quello della Beata Vergine! Io non troverei assolutamente
fuori luogo l’idea che Maria possa essere stata realmente sposa di Giuseppe e
possa aver concepito Gesù in un atto sessuale. Credo che questa tesi non trovi
grandi opposizioni tra i teologi come padre Haering, che ritiene meschino dare
tanta importanza al miracolo biologico. E lo stesso papa emerito Ratzinger
quando era cardinale sosteneva che la “dottrina che afferma la divinità di Gesù
non sarebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale
matrimonio umano”.
Thomas: Anche su questo punto
non ero d’accordo con il papa emerito Ratzinger! Maria è essenziale alla fede
nella divinità venuta nella carne, perché è il modello di una
spiritualizzazione che non “desessualizza” il sesso, è vergine, ma diventa
madre a tutti gli effetti.
Anna: La castità per un monaco
è un dovere, per un laico una scelta. Quindi, ha più meriti il laico, perché ha
più tentazioni, più sollecitazioni?
Thomas: Probabilmente, ma
anche noi monaci viviamo a contatto con la cultura di questo mondo. Cerchiamo
di praticare la discrezione, di evitare letture inutili, di non passare troppe
ore davanti alla televisione o al cinema. In fin dei conti siamo soggetti alle
stesse distrazioni. La castità è la virtù degli amanti, di coloro che amano
tramite la propria sessualità con una coerenza consequenziale per tutta la loro
esistenza, quindi nella fedeltà. I celibi esercitano la castità in modo
analogico, in riferimento alla castità nell’amore di coppia. Rende “impuro” il
sesso solo il gioco dell’ego; si dà anche l’egoismo a due. I padri greci hanno
due termini che illuminano l’argomento. La philautia,
l’amore di se stessi, è fonte di peccato. A essa si oppone la philanthropia, l’amore per la nostra
natura, per l’essere umano in quanto tale. Si amano l’anthropos nel prossimo e l’anthropos
in se stessi, poiché partecipa alla medesima umanità con gli oltre sette
miliardi di persone. Avrò questo amore amicale per l’umanità soltanto se ho un
vero amore per l’umano in me stesso.
Anna: Lo scopo di chi sceglie
il cammino della via spirituale dovrebbe essere quello di spiritualizzare il
corpo con la preghiera e con la meditazione. E arrivare ad amare tutti come
compartecipi dello stesso organismo divino. Dall’amore umano all’amore
universale. L’amore universale non passa attraverso l’amore umano?
Thomas: Normalmente passa
attraverso l’amore umano. Nei casi eccezionali di persone che vivono nella
solitudine, perché chiamate a un ministero o a un’esperienza contemplativa,
devono vivere la loro chiamata in relazione con questo mondo dell’amore, con
una consapevolezza che ricorda l’ultima frase del Paradiso di Dante “L’amor che
move il sole e le altre stelle”.
Anna: Un monaco può
innamorarsi, può amare?
Thomas: Un monaco deve amare,
ma in quanto essere umano può anche innamorarsi. Un monaco cui capita
l’esperienza di innamorarsi, se non è ben preparato psicologicamente e
spiritualmente, non sarà capace di vedere le cose nella giusta prospettiva e
continuare il suo cammino nella solitudine. Poco prima di morire, il cardinale
Hume, benedettino, rilasciò una bella intervista in cui parlò con discrezione
di un suo amore che da monaco maturo aveva saputo vivere senza venir meno al
proprio impegno, senza danni per se stesso né per l’altra persona.
Anna: Perché un amore, se è
vero, profondo, autentico, deve danneggiare se stessi e l’altro? Nei tuoi
cinquant’anni di vita monastica hai mai vissuto un’esperienza simile a quella
del cardinale Hume?
Thomas: Non è l’amore
autentico che reca danni. È la philautia,
l’amore del proprio ego, che reca danni in tutti i rapporti. Il benedettino
Hume ha amato una sua amica senza venir meno al proprio impegno. La sua fedeltà
ai voti monastici non ha danneggiato né se stesso né l’altra persona. Tu ed io
siamo amici, ci siamo impegnati nel cammino spirituale per vie diverse, tu come
laica, io come monaco. Sin dall’inizio abbiamo capito che l’amicizia poteva
essere un bene per entrambi, a patto che ognuno restasse fedele e coerente con
le proprie scelte. Direi che così dovrebbero essere tutti i rapporti fra
persone responsabili e adulte.
Anna: Tu, monaco da
cinquant’anni, parli con tanta libertà, con tanta naturalezza di sessualità! Io
sono stata molto più condizionata dalla cultura cattolica, per la quale il
sesso è o era negativo. L’astinenza sessuale stando a quello che tu dici può
essere dunque una scelta di orgoglio, non spirituale. La strada del rigore,
fondata sulla repressione, è dunque sbagliata e si ottengono più benefici
spirituali amando.
Thomas: Si è più spirituali
quando si è più umani, più reali, più integri. Santità e sanità sono due parole
che derivano dalla medesima radice: “Holiness”
e “Wholeness”, in inglese.
Anna: La via religiosa è una
via che si sceglie soltanto se si sente molto, soprattutto oggi.
Thomas: È stato ospite al
nostro monastero di S. Gregorio al Celio un prete diocesano americano che
voleva che i camaldolesi lo aiutassero a mettere su un piccolo monastero nella
sua chiesa locale. Gli ho detto che secondo me, nel ventunesimo secolo, o non
ci saranno più monaci o ce ne saranno tanti. Perché se si arriva a capire cos’è
la vita monastica, si vede che è un modo di rispondere anche a certi bisogni,
problemi e disgrazie del mondo attuale, non perché sia migliore, ma
semplicemente perché è una risposta forte ai problemi umani.
Anna: Io credo, invece, che la
vita monacale andrà scomparendo. Si può diventare santi, yoghi anche facendo il
padre di famiglia, per esempio come Sri Yukteswar e Lahiri Mahasaya. E come si
usa ancora fare in India, dove a un’età matura, quando i figli sono grandi, si
può scegliere di dedicarsi unicamente all’ascesi. Come ha fatto swami
Sharananda Giri, responsabile per molti anni dell’ashram della YSS–SRF di
Yogananda a Dwarahat sull’Himalaya, che ho avuto la gioia di conoscere. In
effetti, se tutti si facessero monaci finirebbe il genere umano.
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