giovedì 4 ottobre 2018

Amore e monachesimo


Amore e monachesimo

Thomas: Un mio amico monaco psicologo ha scritto — sotto pseudonimo per rispetto della sua comunità ma con il permesso dell’abate — un bell’articolo che condivido in pieno. Insiste sulla positività del sesso nella sua radice interiore, che definisce sexual inscape, “il paesaggio sessuale interiore”. Ognuno di noi deve contemplare, sviluppare e sperimentare a livello interiore la propria sessualità, perché senza l’esperienza prioritaria della propria umanità, non ci può essere comunicazione sessuale con l’altra persona. Le persone sessualmente sane hanno nel cuore l’atteggiamento degli amanti nel Cantico dei Cantici. Si lanciano nell’amore, nel rapporto di affetto, ma sono capaci di vivere quel rapporto anche a distanza, con la memoria, con il sentimento.
   È violenza gravissima invece l’abuso sui minori. E’ violenza anche la colpevolizzazione e la punizione del bambino quando scopre il proprio corpo, la propria sessualità, il proprio piacere. Perché fa tanto male a un bambino ogni contatto sessuale con una persona adulta? Perché l’adulto rappresenta la medesima autorità che puniva il bambino quando si toccava. Questa è la tragica situazione del double bind, del “doppio legame”, che secondo Gregory Bateson è una delle cause della schizofrenia. Al bambino va insegnato il vero significato della sessualità umana, in un clima di rispetto per la sua sessualità, senza abusi né repressione.

Anna: Hai citato prima le parole del tuo amico, “paesaggio sessuale interiore”, un discorso sull’atteggiamento affettivo principale sul quale deve lavorare il monaco. Ora mi chiedo, scendendo su un piano più realistico, nella vita quotidiana, per un monaco è forse preferibile il male minore dell’autoerotismo a un’esperienza diretta della propria sessualità con una donna?

Thomas: Il monaco lavora sul paesaggio interiore in un clima di preghiera e di abbandono a Dio, e il resto, di conseguenza, si purifica e si equilibra. Non pretendo di aver raggiunto il perfetto equilibrio, né qualsiasi altra perfezione, perché da monaco sono proteso alla perfezione ultima, che si avrà solo nella nuova creazione, con la resurrezione della carne. Questa tensione verso la fine dei tempi è caratteristica della castità monastica. Quanto alla castità, san Benedetto stabilisce solo due regole: Castitatem amare, “Amare la castità”, e Caritatem fraternitatis caste impendant, “Amarsi a vicenda castamente”.

Anna: Quindi un monaco può amare un altro monaco e un monaco può amare una persona del mondo ma solo castamente.

Thomas: La castità è amore, sebbene nell’amore si scopra anche la nostra fragilità, la miseria umana.

Anna: Per te l’amore è un esempio di fragilità?

Thomas: L’amore è sempre una relazione fra due persone fragili, perché nessuno è pienamente integro. Quando un uomo o una donna seguono la chiamata monastica, si orientano verso la realtà assoluta, invisibile, eterna. Fermarsi lungo la strada non significa necessariamente girare le spalle a quella meta, ma è certamente un’interruzione del cammino, una caduta di tensione. Sì, è possibile peccare col sesso, ma il sesso in sé non è peccato. La Chiesa dice che il sesso si realizza nel matrimonio monogamico a vita. Paramahansa Yogananda diceva esattamente la stessa cosa. Venir meno a quell’ideale è peccato. Ma è peccato, poiché va contro la piena realizzazione del sesso.
   Come possiamo professare la fede cristiana, se abbiamo una visione negativa del corpo e della sessualità? Non è possibile! Di qui la ribellione contro catechismi, encicliche e vari altri messaggi emanati dalle autorità ecclesiastiche. Bisogna capire perché la gente si ribella. Nella coscienza dei cattolici c’è il senso della corporeità della rivelazione, della carnalità che trasmette la vita divina all’umanità. E convinti di questo, nel nome del dogma cattolico, rifiutano discorsi negativi sul sesso, sul matrimonio, sui sentimenti, sulle passioni. San Giovanni nella prima lettera scrive dello spirito che viene da Dio e dello spirito che viene dal maligno, è del maligno chi nega che il Figlio di Dio sia venuto nella carne, nella nostra umanità.
   Un discorso equilibrato tiene conto della fragilità umana, della compassione di Dio e della compassione che bisogna avere verso se stessi per restare sani di mente. Il discorso non va semplificato, ma va sempre ricondotto alla visione biblica. Il Cantico dei Cantici è la storia d’amore fra persone di stirpe diversa, lui è bianco, lei di carnagione scura. Non sono ancora sposati e lui va di notte a casa di lei, ma anche lei va a cercare lui ed esce di notte semi-vestita. Il Cantico dei Cantici è scandaloso!  Non è amorale, né immorale; è parola di Dio. Certo, non devo leggerlo in modo fondamentalistico; devo farne una rilettura spirituale, come allegoria delle nozze mistiche con Dio. Sotto l’allegoria rimane il fondo misterioso dell’amore umano, una realtà già divina.

Anna: E quale esempio migliore di nozze mistiche è quello della Beata Vergine! Io non troverei assolutamente fuori luogo l’idea che Maria possa essere stata realmente sposa di Giuseppe e possa aver concepito Gesù in un atto sessuale. Credo che questa tesi non trovi grandi opposizioni tra i teologi come padre Haering, che ritiene meschino dare tanta importanza al miracolo biologico. E lo stesso papa emerito Ratzinger quando era cardinale sosteneva che la “dottrina che afferma la divinità di Gesù non sarebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano”.

Thomas: Anche su questo punto non ero d’accordo con il papa emerito Ratzinger! Maria è essenziale alla fede nella divinità venuta nella carne, perché è il modello di una spiritualizzazione che non “desessualizza” il sesso, è vergine, ma diventa madre a tutti gli effetti.

Anna: La castità per un monaco è un dovere, per un laico una scelta. Quindi, ha più meriti il laico, perché ha più tentazioni, più sollecitazioni?

Thomas: Probabilmente, ma anche noi monaci viviamo a contatto con la cultura di questo mondo. Cerchiamo di praticare la discrezione, di evitare letture inutili, di non passare troppe ore davanti alla televisione o al cinema. In fin dei conti siamo soggetti alle stesse distrazioni. La castità è la virtù degli amanti, di coloro che amano tramite la propria sessualità con una coerenza consequenziale per tutta la loro esistenza, quindi nella fedeltà. I celibi esercitano la castità in modo analogico, in riferimento alla castità nell’amore di coppia. Rende “impuro” il sesso solo il gioco dell’ego; si dà anche l’egoismo a due. I padri greci hanno due termini che illuminano l’argomento. La philautia, l’amore di se stessi, è fonte di peccato. A essa si oppone la philanthropia, l’amore per la nostra natura, per l’essere umano in quanto tale. Si amano l’anthropos nel prossimo e l’anthropos in se stessi, poiché partecipa alla medesima umanità con gli oltre sette miliardi di persone. Avrò questo amore amicale per l’umanità soltanto se ho un vero amore per l’umano in me stesso.

Anna: Lo scopo di chi sceglie il cammino della via spirituale dovrebbe essere quello di spiritualizzare il corpo con la preghiera e con la meditazione. E arrivare ad amare tutti come compartecipi dello stesso organismo divino. Dall’amore umano all’amore universale. L’amore universale non passa attraverso l’amore umano?

Thomas: Normalmente passa attraverso l’amore umano. Nei casi eccezionali di persone che vivono nella solitudine, perché chiamate a un ministero o a un’esperienza contemplativa, devono vivere la loro chiamata in relazione con questo mondo dell’amore, con una consapevolezza che ricorda l’ultima frase del Paradiso di Dante “L’amor che move il sole e le altre stelle”.

Anna: Un monaco può innamorarsi, può amare?

Thomas: Un monaco deve amare, ma in quanto essere umano può anche innamorarsi. Un monaco cui capita l’esperienza di innamorarsi, se non è ben preparato psicologicamente e spiritualmente, non sarà capace di vedere le cose nella giusta prospettiva e continuare il suo cammino nella solitudine. Poco prima di morire, il cardinale Hume, benedettino, rilasciò una bella intervista in cui parlò con discrezione di un suo amore che da monaco maturo aveva saputo vivere senza venir meno al proprio impegno, senza danni per se stesso né per l’altra persona.

Anna: Perché un amore, se è vero, profondo, autentico, deve danneggiare se stessi e l’altro? Nei tuoi cinquant’anni di vita monastica hai mai vissuto un’esperienza simile a quella del cardinale Hume?

Thomas: Non è l’amore autentico che reca danni. È la philautia, l’amore del proprio ego, che reca danni in tutti i rapporti. Il benedettino Hume ha amato una sua amica senza venir meno al proprio impegno. La sua fedeltà ai voti monastici non ha danneggiato né se stesso né l’altra persona. Tu ed io siamo amici, ci siamo impegnati nel cammino spirituale per vie diverse, tu come laica, io come monaco. Sin dall’inizio abbiamo capito che l’amicizia poteva essere un bene per entrambi, a patto che ognuno restasse fedele e coerente con le proprie scelte. Direi che così dovrebbero essere tutti i rapporti fra persone responsabili e adulte.

Anna: Tu, monaco da cinquant’anni, parli con tanta libertà, con tanta naturalezza di sessualità! Io sono stata molto più condizionata dalla cultura cattolica, per la quale il sesso è o era negativo. L’astinenza sessuale stando a quello che tu dici può essere dunque una scelta di orgoglio, non spirituale. La strada del rigore, fondata sulla repressione, è dunque sbagliata e si ottengono più benefici spirituali amando.

Thomas: Si è più spirituali quando si è più umani, più reali, più integri. Santità e sanità sono due parole che derivano dalla medesima radice: “Holiness” e “Wholeness”, in inglese.

Anna: La via religiosa è una via che si sceglie soltanto se si sente molto, soprattutto oggi.

Thomas: È stato ospite al nostro monastero di S. Gregorio al Celio un prete diocesano americano che voleva che i camaldolesi lo aiutassero a mettere su un piccolo monastero nella sua chiesa locale. Gli ho detto che secondo me, nel ventunesimo secolo, o non ci saranno più monaci o ce ne saranno tanti. Perché se si arriva a capire cos’è la vita monastica, si vede che è un modo di rispondere anche a certi bisogni, problemi e disgrazie del mondo attuale, non perché sia migliore, ma semplicemente perché è una risposta forte ai problemi umani.

Anna: Io credo, invece, che la vita monacale andrà scomparendo. Si può diventare santi, yoghi anche facendo il padre di famiglia, per esempio come Sri Yukteswar e Lahiri Mahasaya. E come si usa ancora fare in India, dove a un’età matura, quando i figli sono grandi, si può scegliere di dedicarsi unicamente all’ascesi. Come ha fatto swami Sharananda Giri, responsabile per molti anni dell’ashram della YSS–SRF di Yogananda a Dwarahat sull’Himalaya, che ho avuto la gioia di conoscere. In effetti, se tutti si facessero monaci finirebbe il genere umano.

Thomas: Non tutti si faranno monaci. La vita monastica nella Chiesa cattolica può essere vissuta anche da persone che sono state sposate, vedove e vedovi. Non è da escludere la possibilità che una coppia matura s’impegni in una vita di castità. Ci sono nuove circostanze sociologiche e allo stesso tempo c’è una nuova presa di coscienza dello spirito monastico nella Chiesa. Noi benedettini cerchiamo di favorire questi piccoli gruppi, questi semi che stanno germinando, e poi vedremo dove portano.

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