Bibbia
e Bhagavad Gita
Thomas: Chi legge le scritture
del mondo in modo aperto, con un atteggiamento veramente religioso, coglie il
senso drammatico dell’opposizione fra luce e tenebre. In tutte le scritture si
trova questa dualità, anzi, Carl Jung esaltava la presentazione del lato ombra
di Dio — vedi la sua famosa Risposta a
Giobbe. Di un Dio solo bontà e luce Jung non sapeva che farsene. Su questo
punto bisognerebbe fare un po’ di psicanalisi a Jung stesso, per capire che il
suo problema religioso derivava dal fatto di essere figlio di un pastore
protestante. Risposta a Giobbe è un
libro interessante; lo possiamo leggere e lasciarci contestare; possiamo anche
contestarlo.
Medito sulla Bibbia per nutrire la mia vita
spirituale. Dalle Scritture ebraiche e cristiane apprendo che Dio è uno, ed è
il mio creatore e redentore. L’atto con cui al principio Dio creò l’universo e
lo vide buono è tutt’uno con l’atto culminante, quando Dio lo farà ritornare a
sé, affinché Dio sia il Tutto in tutte le cose. Il discorso sul demonio, che
descrive il mistero del male sullo sfondo della divinità di Dio stesso, fa
parte dei generi letterari con cui la Bibbia esprime la complessità della
nostra situazione religiosa, la nostra difficoltà di rapportarci con Dio.
Anna: La Bibbia è dunque una
grande metafora ?
Thomas: La Bibbia racconta una
storia, in vari modi e a varie riprese, e questa diventa la grande metafora di
Dio. La Bibbia racconta, non moralizza. Ogni tanto tira conclusioni morali
dagli eventi che narra, ma senza commentarle. Non c’è un solo genere letterario
che si può chiamare storico; anche la storiografia moderna usa varie forme
letterarie per raccontare gli eventi, dalla cronaca all’indagine scientifica
alla storiografia romanzata di James Michener. Quindi, non possiamo liquidare i
testi sacri dicendo: o sono storici o sono favolette. Nei testi sacri troviamo
il filo storico, l’aspetto sapienziale, l’insegnamento etico, la rivelazione
trascendente. Il Mahabharata, la
grande epopea dell’India, è storico o non è storico? È lontano dai canoni della
storiografia moderna, ma attraverso la poesia racconta la storia dell’umanità
intera, la storia della coscienza umana lacerata dalla guerra fratricida.
Anna: Alcuni commentatori
intendono la storia della Bhagavad Gita come
una metafora dell’evoluzione spirituale dell’uomo. Arjuna, il discepolo del Dio
Krishna, deve combattere e uccidere i suoi cugini che ama, di qui la sua crisi
di coscienza, ma forse i Kaurava sono soltanto parti di sé che deve avere il
coraggio di superare per avanzare nel cammino spirituale. Paramahansa Yogananda
ha lavorato per anni al commento della Bhagavad
Gita. All’inizio del primo capitolo del suo libro scrive: “Il messaggio
eterno della Bhagavad Gita non si
riferisce soltanto a una storica battaglia, ma al conflitto cosmico tra il bene
e il male: la vita come una serie di battaglie tra Spirito e materia, anima e
corpo, vita e morte, conoscenza e ignoranza, salute e malattia, immutabilità e
transitorietà, padronanza di sé e tentazioni, discernimento e mente accecata
dai sensi”.
Thomas: Anche la Bibbia invita
a meditare e ad andare oltre l’apparenza fino al cuore delle cose per discere cor Dei in verbis Dei, “imparare
a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio”.[i]
Questo “andare al cuore” si chiama “lettura spirituale delle Scritture”. La
reinterpretazione della Bibbia in senso spirituale appartiene alla grande
tradizione del cristianesimo primordiale, prima dei concili, prima degli
anatemi e ben prima dell’Inquisizione.
Siamo di fronte a un dogma antico di cui la
teologia si è dimenticata ma che deve essere riaffermato, il dogma della Bibbia
come parola viva di Dio. Le Scritture ci fanno conoscere Dio purché le leggiamo
nel loro senso più profondo. Non si deve leggere le Scritture in modo
riduttivo, come si fa in tante prediche, dove tutto si riduce a un moralismo
banale. Conosco anche il moralismo induista e buddhista, quanto conosco quello
cattolico, e so benissimo che certe cose sono espresse meglio dai buddhisti che
dai cristiani. Il discorso cristiano non deve essere ridotto al moralismo. Se
ci sono nelle Scritture concetti difficili da capire, la cosa migliore è
ammettere che non sappiamo interpretarli, che non riusciamo a comprendere le
vie di Dio. La nostra incomprensione è qualcosa che ci accompagnerà fino alla
visione beatifica.
Anna: O fino alla dannazione
eterna. Così m’insegnavano le suore, dove studiavo da bambina. Chi pecca e non
si pente va all’inferno, per l’eternità.
Thomas: Non so quale
catechismo tu abbia studiato. Io non ho studiato nessun catechismo. Il mio buon
senso mi ha fatto capire che bisogna scegliere il bene e rifiutare il male, e
chi sceglie il male sta male. Il male è l’assenza del bene, quella mancanza che
la tua coscienza denunzia e di cui ti rimprovera.
Anna: Sai bene che il concetto
morale del male è legato alla cultura, al tempo in cui si vive. Alcune cose che
cinquant’anni fa erano considerate negative oggi non lo sono più. Stiamo
parlando di moralità, allora discutiamo di etica.
Thomas: No, parliamo di Dio. È
lì il vero problema.
Anna: Mi rifiuto di pensare a
un Dio cattivo giudice, che trascrive su un registro tutti i nostri peccati. Mi
rifiuto di credere che esista un Dio contabile e giustiziere.
Thomas: Tu rifiuti un’eresia;
non esiste quel Dio contabile e giustiziere. Vorresti forse essere dannata solo
per avere la prova che Dio è cattivo? Tu rifiuti la tua dannazione come rifiuti
quelle pagine della Bibbia che rivelano il giudizio di Dio con immagini
“violente”.
Il Dio terribile che ci fa paura è presente
anche nelle scritture induiste: pensiamo al capitolo undici della Bhagavad Gita, il culmine di questo
poema del Dio amante dell’uomo. Proprio nel cuore della Gita Dio si rivela come il Tempo divoratore di tutte le vite.
Arjuna lo vede con le fauci spalancate per maciullare i suoi nemici, un’immagine
ancor più tremenda di quelle che si trovano nella Bibbia.
Anna: La religione cattolica
afferma che basta un pentimento in punto di morte per essere liberati. È la
storia del buon ladrone sulla croce.
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