giovedì 4 ottobre 2018

Bibbia e Bhagavad Gita


Bibbia e Bhagavad Gita

Thomas: Chi legge le scritture del mondo in modo aperto, con un atteggiamento veramente religioso, coglie il senso drammatico dell’opposizione fra luce e tenebre. In tutte le scritture si trova questa dualità, anzi, Carl Jung esaltava la presentazione del lato ombra di Dio — vedi la sua famosa Risposta a Giobbe. Di un Dio solo bontà e luce Jung non sapeva che farsene. Su questo punto bisognerebbe fare un po’ di psicanalisi a Jung stesso, per capire che il suo problema religioso derivava dal fatto di essere figlio di un pastore protestante. Risposta a Giobbe è un libro interessante; lo possiamo leggere e lasciarci contestare; possiamo anche contestarlo.
   Medito sulla Bibbia per nutrire la mia vita spirituale. Dalle Scritture ebraiche e cristiane apprendo che Dio è uno, ed è il mio creatore e redentore. L’atto con cui al principio Dio creò l’universo e lo vide buono è tutt’uno con l’atto culminante, quando Dio lo farà ritornare a sé, affinché Dio sia il Tutto in tutte le cose. Il discorso sul demonio, che descrive il mistero del male sullo sfondo della divinità di Dio stesso, fa parte dei generi letterari con cui la Bibbia esprime la complessità della nostra situazione religiosa, la nostra difficoltà di rapportarci con Dio.

Anna: La Bibbia è dunque una grande  metafora ?

Thomas: La Bibbia racconta una storia, in vari modi e a varie riprese, e questa diventa la grande metafora di Dio. La Bibbia racconta, non moralizza. Ogni tanto tira conclusioni morali dagli eventi che narra, ma senza commentarle. Non c’è un solo genere letterario che si può chiamare storico; anche la storiografia moderna usa varie forme letterarie per raccontare gli eventi, dalla cronaca all’indagine scientifica alla storiografia romanzata di James Michener. Quindi, non possiamo liquidare i testi sacri dicendo: o sono storici o sono favolette. Nei testi sacri troviamo il filo storico, l’aspetto sapienziale, l’insegnamento etico, la rivelazione trascendente. Il Mahabharata, la grande epopea dell’India, è storico o non è storico? È lontano dai canoni della storiografia moderna, ma attraverso la poesia racconta la storia dell’umanità intera, la storia della coscienza umana lacerata dalla guerra fratricida.

Anna: Alcuni commentatori intendono la storia della Bhagavad Gita come una metafora dell’evoluzione spirituale dell’uomo. Arjuna, il discepolo del Dio Krishna, deve combattere e uccidere i suoi cugini che ama, di qui la sua crisi di coscienza, ma forse i Kaurava sono soltanto parti di sé che deve avere il coraggio di superare per avanzare nel cammino spirituale. Paramahansa Yogananda ha lavorato per anni al commento della Bhagavad Gita. All’inizio del primo capitolo del suo libro scrive: “Il messaggio eterno della Bhagavad Gita non si riferisce soltanto a una storica battaglia, ma al conflitto cosmico tra il bene e il male: la vita come una serie di battaglie tra Spirito e materia, anima e corpo, vita e morte, conoscenza e ignoranza, salute e malattia, immutabilità e transitorietà, padronanza di sé e tentazioni, discernimento e mente accecata dai sensi”.

Thomas: Anche la Bibbia invita a meditare e ad andare oltre l’apparenza fino al cuore delle cose per discere cor Dei in verbis Dei, “imparare a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio”.[i] Questo “andare al cuore” si chiama “lettura spirituale delle Scritture”. La reinterpretazione della Bibbia in senso spirituale appartiene alla grande tradizione del cristianesimo primordiale, prima dei concili, prima degli anatemi e ben prima dell’Inquisizione.
   Siamo di fronte a un dogma antico di cui la teologia si è dimenticata ma che deve essere riaffermato, il dogma della Bibbia come parola viva di Dio. Le Scritture ci fanno conoscere Dio purché le leggiamo nel loro senso più profondo. Non si deve leggere le Scritture in modo riduttivo, come si fa in tante prediche, dove tutto si riduce a un moralismo banale. Conosco anche il moralismo induista e buddhista, quanto conosco quello cattolico, e so benissimo che certe cose sono espresse meglio dai buddhisti che dai cristiani. Il discorso cristiano non deve essere ridotto al moralismo. Se ci sono nelle Scritture concetti difficili da capire, la cosa migliore è ammettere che non sappiamo interpretarli, che non riusciamo a comprendere le vie di Dio. La nostra incomprensione è qualcosa che ci accompagnerà fino alla visione beatifica.

Anna: O fino alla dannazione eterna. Così m’insegnavano le suore, dove studiavo da bambina. Chi pecca e non si pente va all’inferno, per l’eternità.

Thomas: Non so quale catechismo tu abbia studiato. Io non ho studiato nessun catechismo. Il mio buon senso mi ha fatto capire che bisogna scegliere il bene e rifiutare il male, e chi sceglie il male sta male. Il male è l’assenza del bene, quella mancanza che la tua coscienza denunzia e di cui ti rimprovera.

Anna: Sai bene che il concetto morale del male è legato alla cultura, al tempo in cui si vive. Alcune cose che cinquant’anni fa erano considerate negative oggi non lo sono più. Stiamo parlando di moralità, allora discutiamo di etica.

Thomas: No, parliamo di Dio. È lì il vero problema.

Anna: Mi rifiuto di pensare a un Dio cattivo giudice, che trascrive su un registro tutti i nostri peccati. Mi rifiuto di credere che esista un Dio contabile e giustiziere.

Thomas: Tu rifiuti un’eresia; non esiste quel Dio contabile e giustiziere. Vorresti forse essere dannata solo per avere la prova che Dio è cattivo? Tu rifiuti la tua dannazione come rifiuti quelle pagine della Bibbia che rivelano il giudizio di Dio con immagini “violente”.
   Il Dio terribile che ci fa paura è presente anche nelle scritture induiste: pensiamo al capitolo undici della Bhagavad Gita, il culmine di questo poema del Dio amante dell’uomo. Proprio nel cuore della Gita Dio si rivela come il Tempo divoratore di tutte le vite. Arjuna lo vede con le fauci spalancate per maciullare i suoi nemici, un’immagine ancor più tremenda di quelle che si trovano nella Bibbia.

Anna: La religione cattolica afferma che basta un pentimento in punto di morte per essere liberati. È la storia del buon ladrone sulla croce.

Thomas: Non basta un peccato per dannarci in eterno, né un pentimento per salvarci e portarci in Paradiso. È Dio che ci salva, e Dio vuole che tutti si salvino.          



[i]Un’espressione di san Gregorio Magno.

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