Dio
è diventato me stesso
Anna: Volevo riflettere con te
su un altro passo della Bhagavad Gita:
“Per colui che vede me dappertutto e vede tutto in me, non mi perde mai di
vista, né io mai lo perderò di vista”.[i] In
pratica noi siamo una sola cosa con il divino che è in noi e diveniamo una sola
cosa con l’energia cosmica, con l’Assoluto.
Paramahansa Yogananda nel suo commento a
questo versetto scrive: “Lo yoghi progredito percepisce la sua anima come
un’onda nell’oceano della Coscienza Cosmica. Lo yoghi completamente liberato
contempla la sua anima–onda come una manifestazione dell’Oceano Cosmico. Così
uno yoghi non direbbe mai:‘Io sono Dio’, poiché egli sa che Dio può esistere
senza la sua anima; ma, se vuole, può dire: “Dio è diventato me stesso”.
Thomas: Secondo la Bhagavad Gita, chi si è identificato con
l’Assoluto non ha finito il percorso, perché al di là dell’Assoluto c’è
Krishna, ossia Dio come Persona. L’Assoluto non è Dio; la Bhagavad Gita lo chiama Brahma–nirvana,
mettendo insieme il termine induista Brahman
e quello buddhista nirvana.
Secondo entrambe le tradizioni, tali termini sono intraducibili, poiché
indicano una realtà di là di ogni concetto e di ogni essenza. Eppure la Bhagavad Gita afferma che l’aver
raggiunto Brahma–nirvana non basta;
c’è ancora da vedere Dio.
Anna: Ma noi siamo già parte
di Dio. Se scopriamo in noi stessi il Dio cosmico, nel momento in cui lo
realizziamo non diventiamo parte di questa entità divina?
Thomas: Possiamo dire che
partecipiamo alla natura divina. Ma non ci basta.
Anna: Che cosa altro dobbiamo
scoprire ancora? Non siamo l’onda che ritorna oceano? Una volta che si è parte
dell’Assoluto, che si è immersi nell’energia divina, che cosa vuoi diventare
ancora? Che cosa c’è al di là? Krishna dice ad Arjuna: “Colui il cui Sé ha
raggiunto l’armonia dello Yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e tutti gli
esseri nel Sé, dappertutto egli vede nello stesso modo”.[ii]
Significa ogni essere vivente, ogni essere senziente è un altro te stesso, ma
anche un fiore, una foglia, un insetto è espressione dello Spirito universale.
L’intera manifestazione è espressione dello Spirito cosmico.
Thomas: Lo dice un testo
tantrico Atmavat sarvebhutebhyo hitam
kuryat: “Lo yoghi deve fare del bene a ogni essere vivente, poiché è come
la propria anima”. Questo è pure il senso del precetto evangelico: “Ama il
prossimo tuo come te stesso”. Non vuol dire: “Ama il prossimo come tu ami te
stesso”, ma “Ama il prossimo tuo che è un altro te stesso”.
Anna: Perché se noi siamo in
Dio e Dio è in noi, ogni altro essere umano è una parte di noi. E quindi non
c’è separazione. Mi chiedo perché le religioni non insegnino questo concetto
così elementare e così importante, non insegnino la tolleranza. Quanto sangue
sarebbe stato risparmiato, quante guerre evitate! Anche la Chiesa cattolica
continua a sostenere, sia pure in modo più velato di un tempo, la propria
supremazia rispetto alle altre religioni. Il Cristo è l’unico Figlio di Dio,
incarnato sulla terra per redimerci. E per chi non ha raggiunto questa certezza
?
Thomas: L’intolleranza è un
errore di origine antica. Si trova in tutte le religioni, non solo in quella
cristiana.
Anna: Ciò che mi ha fatto
allontanare dalla Chiesa cattolica sono state proprio l’ipocrisia e
l’intolleranza che ho trovato in alcuni suoi esponenti; modi di essere che più
difficilmente si trovano in chi pratica lo yoga. La stessa parola, infatti,
significa unione ed esprime il concetto basilare della filosofia indù: l’unione
con Dio, con tutti gli altri esseri viventi. E dove c’è unione c’è amore. È
soltanto dove c’è divisione che ci può essere disprezzo, rivalità, odio,
violenza.
Thomas: Sei sicura che sia
stato proprio questo il motivo? Non è stato piuttosto qualcosa d’altro che ti
ha allontanata e poi, giustamente, hai visto l’ipocrisia e l’intolleranza che
c’è nella Chiesa o negli uomini di Chiesa? Questo ti ha dato un’ulteriore
giustificazione per allontanarti. Però, tu rimani un membro del corpo di
Cristo, una concittadina dei Santi.
Anna: Credo che la via
spirituale non possa che essere una via individuale. Ognuno di noi deve trovare
Dio dentro se stesso. Non ha bisogno d’istituzioni, di preti, di sacerdoti, di
monaci, di nessuna religione.
Thomas: Allora sei una madre
del deserto! Sei discepola degli antichi eremiti che andarono via dalla città
degli uomini e rinunciarono a ogni rapporto sociale, per cercare da soli il rapporto
con Dio. L’eremita saresti tu. Quanto a me, sono un cenobita.
Anna: Per quale motivo? Non
puoi fare il cammino da solo?
Thomas: Si cammina meglio
insieme; ognuno di noi monaci fa il proprio cammino e ci sosteniamo a vicenda.
Dice Yogananda, come diceva Sri Yukteswar: il meditare insieme corrobora gli
sforzi del singolo. A Camaldoli abbiamo incontri regolari di lectio divina, un metodo di lettura
meditativa in uso nei monasteri del Medio Evo. Lo yoga si pratica nella nostra
comunità indiana di Shantivanam. Di per sé, meditare è sempre un fatto privato.
La mattina alle quattro, inizio la pratica di meditazione, faccio i centotto
cicli di Kriya Yoga, che poi è un simbolo, il prodotto di due numeri perfetti:
dodici moltiplicato per nove. Seguo questa pratica, so che mi fa bene, ma non
eccedo.
Anna: Nei primi tre viaggi che
ho fatto in India ho potuto assaporare, sia pure per poco tempo, l’esperienza
di un’espansione di coscienza, quella felicità che è data semplicemente dal
fatto di sentirsi parte di un Tutto. Per chi si sente come me senza radici è
stata una sensazione di grande gioia. Poi il rientro in Italia e il vortice
della vita quotidiana hanno spazzato via i ricordi del viaggio e la serenità
conquistata. Quando sono tornata successivamente, a distanza di anni, non ho
provato le stesse emozioni. Ho continuato a viaggiare portandomi dietro quel
senso di sradicamento che è la caratteristica della mia vita. L’espansione di
coscienza è povera cosa, non è certo l’esperienza del samadhi, il rapimento estatico in Dio, così bene descritto da
Yogananda nella sua Autobiografia.
Hai avuto esperienze simili?
Thomas: È difficile dire di
no. Penso che si possa giungere allo stato di assorbimento, di samadhi, senza fare l’esperienza
estatica del tipo descritta da Yogananda. D’altra parte si può sperimentare
un’estasi che non è “rapimento in Dio”?
Anna: L’esperienza del samadhi e dell’estasi cristiana sono
molto simili, almeno stando ai racconti dei santi. La coscienza è totalmente
immersa nello Spirito cosmico e il corpo sembra privo di energia vitale e di
sensazioni; immobile, rapito nella beatitudine divina.
Thomas: Molti santi cristiani
hanno raggiunto il totale assorbimento in Dio, tanto da dimenticarsi della
propria esistenza, uno stato che io chiamerei samadhi. Altra è la loro santità, che consiste nell’unione di amore
con Dio, che tanto ama il mondo. Credo che molti yoghi arrivino all’unione con
Dio, senza che loro la chiamino “estasi cristiana”. Quando farò l’esperienza di
non esserci più, perché c’è Dio e basta, non avrò certo alcuna base per
concepire le “differenze” fra me e gli altri che non si direbbero cristiani.
Anna: Yogananda ripeteva ai
suoi discepoli che il santo è il peccatore che non si è mai arreso.
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