giovedì 4 ottobre 2018

Il concetto della reincarnazione oggi


Il concetto della reincarnazione oggi

Anna: Il concetto di reincarnazione è stato ripreso negli ultimi secoli, in modo più o meno ampio, da alcuni studiosi e filosofi occidentali. Per Rudolf Steiner, l’Io arriva alla perfezione di sé attraverso le varie reincarnazioni. L’io rappresenta l’autocoscienza che deve espandersi fino a identificarsi nella coscienza divina senza per questo perdere la consapevolezza di sé. Nella prospettiva orientale, invece, alla fine c’è la perdita dell’io che si annulla nell’Energia Cosmica.
   Per l’antroposofia, Cristo rappresenta la figura centrale dell’evoluzione dell’umanità. Dopo il sacrificio del Golgota l’uomo ha preso coscienza dell’io e da quel momento ha in mano le redini del suo cammino. Secondo Steiner la Chiesa ha avuto il compito di negare per secoli la reincarnazione per far sì che l’uomo prendesse coscienza da solo del proprio Io; ora, però, non volendo cambiare, è diventata un ostacolo all’evoluzione dell’umanità. È come una madre che vuole tenere legati a sé i figli impedendo loro di crescere. L’uomo è maturo per camminare da solo, deve sviluppare dentro di sé i criteri etici e morali imposti dalle religioni. Gandhi diceva: “Il tempo delle religioni è finito, sta cominciando l’era della spiritualità”.

Thomas: Non conosco il pensiero di Rudolf Steiner. Quanto alla “prospettiva orientale”, non si può generalizzare né si può dire che l’io “si perde” o “si annulla nell’Energia Cosmica”. Yogananda cita il suo guru Sri Yukteswar per affermare che non c’è la perdita dell’individualità nella liberazione ultima dell’anima.
   In campo cattolico, il tema della maturazione collettiva dell’umanità intorno alla figura di Cristo è stato elaborato da Pierre Teilhard de Chardin, gesuita francese, scienziato, teorico dell’evoluzione e mistico. Egli, però, esclude espressamente la reincarnazione. Caso mai, in Teilhard de Chardin si potrebbe parlare della trasmigrazione della materia anziché dell’anima, poiché egli insiste sulla completa integrazione di materia e spirito nei processi evolutivi.

Anna: Per quale motivo la Chiesa non ha il coraggio di riconoscere i suoi errori, soprattutto se si riferiscono a un passato molto lontano? Giovanni Paolo II, è vero, ha ammesso che la Chiesa, durante la guerra e durante il fascismo, si è comportata male.  Pensi che la Chiesa perderebbe di credibilità se ammettesse di aver fatto errori?

Thomas: La Chiesa può avere sbagliato in tanti modi, ma ogni tanto nella storia della Chiesa si trova un papa che riconosce onestamente gli sbagli e i crimini commessi in nome della Chiesa. Hai citato l’esempio di Giovanni Paolo II. Lasciamo stare gli anatemi di Costantinopoli II, perché ormai Origene e Giustiniano sono morti. Perché dobbiamo fare processi a carico dei morti anche noi?

Anna: Giustiniano e Origene sono morti, ma i risultati di quel concilio si sentono ancora oggi. Cito, per esempio, l’intolleranza del papa emerito Benedetto XVI, che quando era cardinale, definì la reincarnazione nella concezione buddhista qualcosa di simile a un “ciclo infernale”.

Thomas: Non posso cambiare quel concilio; non posso fare sì che un fatto storico non sia mai esistito. Posso lavorare per il futuro; posso andare incontro alle angosce che nascono nel cuore degli uomini di oggi e che ricevono una certa risposta dall’ipotesi della reincarnazione. Devo criticare certamente la concezione comune, piuttosto meccanica, della reincarnazione. “L’anima scappa da questo corpo e va a infilarsi in un altro”. Per me l’essenziale è il sentimento profondo espresso con l’idea della reincarnazione, quello della continuità della vita. È una rete la nostra esistenza, e in questa rete di vite i nodi sono infiniti e ognuno di noi è collegato con tutti.

Anna: Tra un’incarnazione e l’altra l’anima sosta nel mondo astrale per proseguire il suo cammino di purificazione.

Thomas: È sempre troppo meccanico, troppo banale dirlo così. Il film Il piccolo Buddha di Bertolucci arriva al paradosso di un’anima che si reincarna in tre persone.

Anna: È vero, il buddhismo prevede casi di questo genere. Un grande Lama può trasferire parti diverse di sé in persone diverse.

Thomas: Allora tutto comincia a diventare più complesso. Bisogna distinguere la reincarnazione dal concetto di karma, che non è legato necessariamente al concetto di trasmigrazione delle anime. Il karma è azione e reazione; è il principio per cui tu devi pagare quello che fai. Puoi produrre karma con una vita sola, anche senza avere l’anima immortale. Formuliamo un’altra ipotesi, non ha certo bisogno di reincarnarsi una persona che nasce con alte qualità spirituali e che raggiunge la perfezione in una sola vita. Anzi, un indù o un buddhista che s’impegna fino in fondo nello yoga e nella meditazione non ha certo alcuna voglia di reincarnarsi. Sta cercando la liberazione, e il reincarnarsi sarebbe un fallimento.

Anna: Anche Paramahansa Yogananda ripete che ci si può liberare in una sola vita, basta volerlo. Sono necessari disciplina, fede e la corretta applicazione delle tecniche scientifiche di meditazione. Anche se si nasce con alte qualità spirituali, la vita di oggi è pur sempre una durissima prova.

Thomas: Oggi possiamo attingere direttamente alle fonti originali in cui veniva elaborato questo concetto. I testi ci rivelano dottrine differenti sulla trasmigrazione, su chi o che cosa trasmigra. Per la Bhagavad Gita è l’Atman, lo Spirito universale che trasmigra, non è il jiva, non è il soggetto psicologico. “Quando svanisce la giustizia e cresce l’ingiustizia — dice Krishna — io mi manifesto di nuovo agli uomini per riportarli alla via del dharma, della verità, della giustizia”.[i] Nella Bibbia si dice che la Sapienza di Dio si manifesta a diverse riprese lungo la storia.
   Io credo nella resurrezione dei morti, per cui devo credere che se mi abbandono a Dio, se gli dico, come dissero mia nonna e mia zia in punto di morte: “Perdona i miei peccati e prendimi con te”, Dio mi prenderà.

Anna: Potresti tornare per far del bene agli altri, come bodhisattva.

Thomas: Santa Teresa di Lisieux fece il voto del bodhisattva. Prima di morire disse: “Io spenderò il mio Paradiso facendo del bene sulla terra”. Quello che lei ha scritto e detto è sconvolgente. È molto pericolosa quella santa.

Anna: Perché pericolosa?

Thomas: Prima di tutto perché parla del suo desiderio di essere prete, poi perché è una specie di Buddha femminile. In lei troviamo un perfetto buddhismo e un perfetto cristianesimo. Anche nel Vangelo la via piccola è la migliore. Insomma small is beautiful, “piccolo è bello”. Comincio a credere che questo vale anche per la Chiesa. Abbiamo troppa pollution, troppo inquinamento ambientale nella Chiesa; ci vuole un po’ di ecologia ecclesiastica.
   Teresa di Lisieux era alle prese con una morte difficile, aveva ventiquattro anni, non aveva visioni, né udiva voci celesti, soltanto la luce della fede, della speranza, della carità. Altra luce non aveva. Non riusciva ad immaginare il Paradiso e l’aldilà, fino all’istante della sua morte. Fu una prova estrema della sua fede. Sarei io capace di quella fede, di quella speranza, di quell’amore, senza l’aiuto d’ immagini?

Anna: Nella sua Autobiografia Paramahansa Yogananda descrive l’incontro con Sri Yukteswar, avvenuto il 19 giugno del 1936, tre mesi dopo il mahasamadhi — la morte, come direbbe un occidentale — del suo guru. Sri Yukteswar aveva lasciato il suo corpo il 9 marzo 1936 e Yogananda racconta di aver abbracciato il suo maestro in carne ed ossa, di averlo visto con un corpo simile a quello che aveva sulla terra. Sri Yukteswar spiega che un grande yoghi è in grado di ricomporre gli atomi cosmici, in modo da presentarsi con un corpo simile a quello che aveva precedentemente. Lui è risorto e racconta a Yogananda che vive su un pianeta astrale, Hiranyaloka, dove vanno tutti gli spiriti elevati. In questo capitolo, Sri Yukteswar svela i misteri dell’universo, della vita, parla dei pianeti astrali, delle leggi che regolano il karma. Perché non dovremmo pensare che ciò che dice è vero?

Thomas: Contra experientiam non valet argumentum. Perché non dobbiamo ammettere che Yogananda possa aver riabbracciato il suo maestro dopo la morte di lui? Perché dobbiamo mettere in dubbio la sua esperienza? È una cosa che sta benissimo a un cristiano, perché crediamo che il corpo fisico sarà trasformato, avrà parte nella nostra beatitudine eterna. Tutto quel capitolo dell’Autobiografia è un discorso di iniziazione; è un grande sogno, il sogno di una vita in continua espansione. Mi crea problemi la metafora dell’uccello-anima che scappa dalla gabbia-corpo. Io non sperimento il mio corpo come una gabbia.

Anna: Patanjali negli Yoga Sutras dice che anche nei grandi santi si può ritrovare, sia pure in misura lieve, l’attaccamento alla dimora fisica. Come un uccello che è stato a lungo in gabbia, l’anima esita un istante prima di abbandonare il corpo. Quando morirai dovrai pur lasciarlo.

Thomas: Cosa lascio? Muscoli, ossa, sangue. Lascio queste cose nella loro frammentarietà, ma non nella loro fisicità. Poi il corpo è più grande di questa “capsula di pelle”, come lo chiama Alan Watts: skin–encapsulated ego, la capsula di pelle che contiene l’ego, il soggetto psicologico.

Anna: A volte l’ego trascende la capsula di pelle; spesso s’incontrano dei palloni gonfiati, degli ego mostruosi, che sovrastano e appesantiscono il corpo fisico.

Thomas: Più che sovrastare, direi che l’ego gonfiato restringe la persona, mentre la vera trascendenza dell’ego comporta sempre un allargamento del senso di corporeità. Quando tu hai avuto un figlio, non faceva parte del tuo corpo? Due amanti sono davvero due corpi? La Bibbia dice: “Sono una sola carne”. La fusione dei due corpi è tale da far dimenticare per un attimo la dualità delle loro “anime”. Nella poesia “Samadhi”, Yogananda parla di un’estasi in cui fa l’esperienza di una corporeità allargata, di una “coscienza cosmica”; sente il suo corpo diventare tutt’uno con il cosmo. Se vogliamo, l’estasi può essere un’esperienza legata alla resurrezione. Non bisogna essere creduloni, ma nemmeno scettici. Come sogno, come poesia, almeno come desiderio, va bene.
   Mi ha sempre colpito l’aspetto fisico di Sri Yukteswar, il volto da patriarca dravida, la bellezza senile un po’ severa di uno che ha combattuto la lotta spirituale; mentre trovo inquietante la bellezza androgina di Yogananda.

Anna: Quando si diventa perfetti, una sola cosa con l’Uno, non si superano inevitabilmente le differenze tra maschile e femminile? La nostra meta non è armonizzare le due polarità dentro di noi? Un giorno una bambina chiese a Yogananda durante una cena: “Sei un uomo o una donna?”. E lui rispose: “Né l’uno né l’altra”. 



[i]Bhagavad Gita, cap. 4,6–8. 

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