Il
concetto della reincarnazione oggi
Anna: Il concetto di
reincarnazione è stato ripreso negli ultimi secoli, in modo più o meno ampio,
da alcuni studiosi e filosofi occidentali. Per Rudolf Steiner, l’Io arriva alla
perfezione di sé attraverso le varie reincarnazioni. L’io rappresenta
l’autocoscienza che deve espandersi fino a identificarsi nella coscienza divina
senza per questo perdere la consapevolezza di sé. Nella prospettiva orientale,
invece, alla fine c’è la perdita dell’io che si annulla nell’Energia Cosmica.
Per l’antroposofia, Cristo rappresenta la
figura centrale dell’evoluzione dell’umanità. Dopo il sacrificio del Golgota
l’uomo ha preso coscienza dell’io e da quel momento ha in mano le redini del
suo cammino. Secondo Steiner la Chiesa ha avuto il compito di negare per secoli
la reincarnazione per far sì che l’uomo prendesse coscienza da solo del proprio
Io; ora, però, non volendo cambiare, è diventata un ostacolo all’evoluzione
dell’umanità. È come una madre che vuole tenere legati a sé i figli impedendo
loro di crescere. L’uomo è maturo per camminare da solo, deve sviluppare dentro
di sé i criteri etici e morali imposti dalle religioni. Gandhi diceva: “Il
tempo delle religioni è finito, sta cominciando l’era della spiritualità”.
Thomas: Non conosco il
pensiero di Rudolf Steiner. Quanto alla “prospettiva orientale”, non si può
generalizzare né si può dire che l’io “si perde” o “si annulla nell’Energia
Cosmica”. Yogananda cita il suo guru Sri Yukteswar per affermare che non c’è la perdita dell’individualità
nella liberazione ultima dell’anima.
In campo cattolico, il tema della
maturazione collettiva dell’umanità intorno alla figura di Cristo è stato
elaborato da Pierre Teilhard de Chardin, gesuita francese, scienziato, teorico
dell’evoluzione e mistico. Egli, però, esclude espressamente la reincarnazione.
Caso mai, in Teilhard de Chardin si potrebbe parlare della trasmigrazione della
materia anziché dell’anima, poiché egli insiste sulla completa integrazione di
materia e spirito nei processi evolutivi.
Anna: Per quale motivo la
Chiesa non ha il coraggio di riconoscere i suoi errori, soprattutto se si
riferiscono a un passato molto lontano? Giovanni Paolo II, è vero, ha ammesso
che la Chiesa, durante la guerra e durante il fascismo, si è comportata
male. Pensi che la Chiesa perderebbe di
credibilità se ammettesse di aver fatto errori?
Thomas: La Chiesa può avere
sbagliato in tanti modi, ma ogni tanto nella storia della Chiesa si trova un
papa che riconosce onestamente gli sbagli e i crimini commessi in nome della
Chiesa. Hai citato l’esempio di Giovanni Paolo II. Lasciamo stare gli anatemi
di Costantinopoli II, perché ormai Origene e Giustiniano sono morti. Perché
dobbiamo fare processi a carico dei morti anche noi?
Anna: Giustiniano e Origene
sono morti, ma i risultati di quel concilio si sentono ancora oggi. Cito, per
esempio, l’intolleranza del papa emerito Benedetto XVI, che quando era
cardinale, definì la reincarnazione nella concezione buddhista qualcosa di
simile a un “ciclo infernale”.
Thomas: Non posso cambiare
quel concilio; non posso fare sì che un fatto storico non sia mai esistito.
Posso lavorare per il futuro; posso andare incontro alle angosce che nascono
nel cuore degli uomini di oggi e che ricevono una certa risposta dall’ipotesi
della reincarnazione. Devo criticare certamente la concezione comune, piuttosto
meccanica, della reincarnazione. “L’anima scappa da questo corpo e va a
infilarsi in un altro”. Per me l’essenziale è il sentimento profondo espresso
con l’idea della reincarnazione, quello della continuità della vita. È una rete
la nostra esistenza, e in questa rete di vite i nodi sono infiniti e ognuno di
noi è collegato con tutti.
Anna: Tra un’incarnazione e
l’altra l’anima sosta nel mondo astrale per proseguire il suo cammino di
purificazione.
Thomas: È sempre troppo
meccanico, troppo banale dirlo così. Il film Il piccolo Buddha di Bertolucci arriva al paradosso di un’anima che
si reincarna in tre persone.
Anna: È vero, il buddhismo
prevede casi di questo genere. Un grande Lama può trasferire parti diverse di
sé in persone diverse.
Thomas: Allora tutto comincia
a diventare più complesso. Bisogna distinguere la reincarnazione dal concetto
di karma, che non è legato
necessariamente al concetto di trasmigrazione delle anime. Il karma è azione e reazione; è il
principio per cui tu devi pagare quello che fai. Puoi produrre karma con una vita sola, anche senza
avere l’anima immortale. Formuliamo un’altra ipotesi, non ha certo bisogno di
reincarnarsi una persona che nasce con alte qualità spirituali e che raggiunge
la perfezione in una sola vita. Anzi, un indù o un buddhista che s’impegna fino
in fondo nello yoga e nella meditazione non ha certo alcuna voglia di
reincarnarsi. Sta cercando la liberazione, e il reincarnarsi sarebbe un
fallimento.
Anna: Anche Paramahansa
Yogananda ripete che ci si può liberare in una sola vita, basta volerlo. Sono
necessari disciplina, fede e la corretta applicazione delle tecniche
scientifiche di meditazione. Anche se si nasce con alte qualità spirituali, la
vita di oggi è pur sempre una durissima prova.
Thomas: Oggi possiamo
attingere direttamente alle fonti originali in cui veniva elaborato questo
concetto. I testi ci rivelano dottrine differenti sulla trasmigrazione, su chi
o che cosa trasmigra. Per la Bhagavad
Gita è l’Atman, lo Spirito
universale che trasmigra, non è il jiva,
non è il soggetto psicologico. “Quando svanisce la giustizia e cresce
l’ingiustizia — dice Krishna — io mi manifesto di nuovo agli uomini per
riportarli alla via del dharma, della
verità, della giustizia”.[i] Nella
Bibbia si dice che la Sapienza di Dio si manifesta a diverse riprese lungo la
storia.
Io credo nella resurrezione dei morti, per
cui devo credere che se mi abbandono a Dio, se gli dico, come dissero mia nonna
e mia zia in punto di morte: “Perdona i miei peccati e prendimi con te”, Dio mi
prenderà.
Anna: Potresti tornare per far
del bene agli altri, come bodhisattva.
Thomas: Santa Teresa di
Lisieux fece il voto del bodhisattva.
Prima di morire disse: “Io spenderò il mio Paradiso facendo del bene sulla
terra”. Quello che lei ha scritto e detto è sconvolgente. È molto pericolosa
quella santa.
Anna: Perché pericolosa?
Thomas: Prima di tutto perché
parla del suo desiderio di essere prete, poi perché è una specie di Buddha
femminile. In lei troviamo un perfetto buddhismo e un perfetto cristianesimo.
Anche nel Vangelo la via piccola è la migliore. Insomma small is beautiful, “piccolo è bello”. Comincio a credere che
questo vale anche per la Chiesa. Abbiamo troppa pollution, troppo inquinamento ambientale nella Chiesa; ci vuole un
po’ di ecologia ecclesiastica.
Teresa di Lisieux era alle prese con una
morte difficile, aveva ventiquattro anni, non aveva visioni, né udiva voci
celesti, soltanto la luce della fede, della speranza, della carità. Altra luce
non aveva. Non riusciva ad immaginare il Paradiso e l’aldilà, fino all’istante
della sua morte. Fu una prova estrema della sua fede. Sarei io capace di quella
fede, di quella speranza, di quell’amore, senza l’aiuto d’ immagini?
Anna: Nella sua Autobiografia Paramahansa Yogananda
descrive l’incontro con Sri Yukteswar, avvenuto il 19 giugno del 1936, tre mesi
dopo il mahasamadhi — la morte, come
direbbe un occidentale — del suo guru. Sri Yukteswar aveva lasciato il suo
corpo il 9 marzo 1936 e Yogananda racconta di aver abbracciato il suo maestro
in carne ed ossa, di averlo visto con un corpo simile a quello che aveva sulla
terra. Sri Yukteswar spiega che un grande yoghi è in grado di ricomporre gli
atomi cosmici, in modo da presentarsi con un corpo simile a quello che aveva
precedentemente. Lui è risorto e racconta a Yogananda che vive su un pianeta
astrale, Hiranyaloka, dove vanno tutti gli spiriti elevati. In questo capitolo,
Sri Yukteswar svela i misteri dell’universo, della vita, parla dei pianeti
astrali, delle leggi che regolano il karma.
Perché non dovremmo pensare che ciò che dice è vero?
Thomas: Contra experientiam non
valet argumentum. Perché non
dobbiamo ammettere che Yogananda possa aver riabbracciato il suo maestro dopo
la morte di lui? Perché dobbiamo mettere in dubbio la sua esperienza? È una
cosa che sta benissimo a un cristiano, perché crediamo che il corpo fisico sarà
trasformato, avrà parte nella nostra beatitudine eterna. Tutto quel capitolo
dell’Autobiografia è un discorso di
iniziazione; è un grande sogno, il sogno di una vita in continua espansione. Mi
crea problemi la metafora dell’uccello-anima che scappa dalla gabbia-corpo. Io
non sperimento il mio corpo come una gabbia.
Anna: Patanjali negli Yoga Sutras dice che anche nei grandi
santi si può ritrovare, sia pure in misura lieve, l’attaccamento alla dimora
fisica. Come un uccello che è stato a lungo in gabbia, l’anima esita un istante
prima di abbandonare il corpo. Quando morirai dovrai pur lasciarlo.
Thomas: Cosa lascio? Muscoli,
ossa, sangue. Lascio queste cose nella loro frammentarietà, ma non nella loro
fisicità. Poi il corpo è più grande di questa “capsula di pelle”, come lo
chiama Alan Watts: skin–encapsulated ego,
la capsula di pelle che contiene l’ego, il soggetto psicologico.
Anna: A volte l’ego trascende
la capsula di pelle; spesso s’incontrano dei palloni gonfiati, degli ego
mostruosi, che sovrastano e appesantiscono il corpo fisico.
Thomas: Più che sovrastare,
direi che l’ego gonfiato restringe la persona, mentre la vera trascendenza
dell’ego comporta sempre un allargamento del senso di corporeità. Quando tu hai
avuto un figlio, non faceva parte del tuo corpo? Due amanti sono davvero due
corpi? La Bibbia dice: “Sono una sola carne”. La fusione dei due corpi è tale
da far dimenticare per un attimo la dualità delle loro “anime”. Nella poesia
“Samadhi”, Yogananda parla di un’estasi in cui fa l’esperienza di una
corporeità allargata, di una “coscienza cosmica”; sente il suo corpo diventare
tutt’uno con il cosmo. Se vogliamo, l’estasi può essere un’esperienza legata
alla resurrezione. Non bisogna essere creduloni, ma nemmeno scettici. Come
sogno, come poesia, almeno come desiderio, va bene.
Mi ha sempre colpito l’aspetto fisico di Sri
Yukteswar, il volto da patriarca dravida, la bellezza senile un po’ severa di
uno che ha combattuto la lotta spirituale; mentre trovo inquietante la bellezza
androgina di Yogananda.
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