giovedì 4 ottobre 2018

Il Male e il Bene


Il Male e il Bene

Anna: Parliamo dell’eterno conflitto tra il Bene e il Male. Il concetto del male differisce secondo le epoche e le latitudini. È relativo, com’è relativo il bene. Le religioni ci dicono che noi esseri umani siamo incapaci di trovare una morale comune, quindi abbiamo bisogno di comandamenti, precetti, punizioni. Eppure io sono convita che l’uomo ha in sé un potenziale etico che verrebbe fuori naturalmente se nella primissima infanzia il bambino non fosse violentato psicologicamente dai genitori, spaventato inutilmente, costretto all’obbedienza, non con la bontà del ragionamento e della verità, ma con le minacce e i ricatti, abituandolo subito a questa visione distorta della vita e della realtà e impedendogli di sviluppare così il senso di responsabilità. Un bambino che cresce nel terrore di sbagliare per evitare la punizione diventerà difficilmente un uomo libero; la sua creatività e la sua fantasia rimarranno paralizzate dalla paura. Se si considera che i primi anni di vita sono decisivi per l’impostazione della personalità, possiamo comprendere quante ferite irreparabili siano state inferte nella psiche degli esseri umani. Una grande sofferenza e anni di seria analisi a volte possono modificare quest’imprinting iniziale.
   La psiche del bambino è come una spugna, incamera a poco a poco i valori espressi dalla famiglia, dalla scuola, dalla società, che oggi sono il potere, il denaro, il successo, invece di imparare ad amare la tolleranza, il rispetto, la fratellanza. Un giovane può addirittura commettere atti criminali credendo di emulare gli adulti, o di stupirli provocandoli. Ricordi il film di Hitchcock Nodo alla gola? Un giovane uccide un suo compagno perché aveva frainteso i discorsi eccentrici sulla morale di un suo professore, che ha l’aria dinoccolata e un po’ distratta di Jimmy Stewart. Sappiamo bene come il codice d’onore della mafia abitui i figli dei criminali a vivere in un clima dove tutti i valori sono ribaltati e dove uccidere è considerato un fatto “normale”.

Thomas: Hai detto due cose prima, che il bene e il male sono relativi, e sono concepiti diversamente secondo le diverse culture. Seconda, che abbiamo in noi un “potenziale etico” che fa parte della natura umana, e con quest’affermazione sono pienamente d’accordo. La prima, ossia il relativismo etico, non lo posso accettare. Il relativismo è quasi un dogma nella cultura laica, ma non corrisponde alla sapienza universale, quella “filosofia perenne” insita nelle grandi religioni. Tuttavia, esiste un altro “relativismo” — platonico e cristiano — che potrebbe illuminare l’argomento. Il bene è sempre un assoluto — si dice “trascendentale”, come l’essere e il vero — mentre il male è soltanto relativo rispetto al bene di cui è la privazione. Il male in sé non ha uno statuto ontologico, è un parassita che “esiste” solo in quanto è la mancanza del bene che dovrebbe esserci. Questo principio filosofico è la base razionale dell’ottimismo cristiano che vede la bontà di Dio in tutte le cose.   

Anna: Non sono serviti i comandamenti di tutte le maggiori religioni e lo spauracchio dell’inferno a trattenere l’uomo dall’abisso d’ignominia e crudeltà in cui è caduto in varie epoche storiche. L’etica non può più venire dall’alto, non deve essere più qualcosa di estraneo all’uomo, imposto dall’esterno, ma deve nascere dal cuore dell’uomo, essere radicata nella sua anima. Soltanto in questo caso una persona può essere capace di grande generosità, fino a sacrificare la propria vita per gli altri, in nome di un ideale. Si può essere laici e non credenti e vivere una vita eticamente ineccepibile.
   Nei tempi antichi, per aiutare gli uomini a districarsi nelle regole della vita quotidiana c’erano i profeti, anzi nel Vecchio Testamento troviamo anche molte profetesse. Avevano il compito di segnare la strada al popolo di Dio, parlavano in suo nome. In un certo senso rendevano chiari i termini del bene e del male, non c’era la possibilità di equivocare, di sbagliare. Oggi i profeti non esistono più, l’uomo deve trovare dentro di sé la propria guida, il Sé. Forse l’ultimo grande profeta in senso biblico è stato Gandhi; ha guidato una nazione intera verso l’indipendenza mettendo in gioco soltanto la sua vita. Nella Bhagavad Gita, il vangelo degli indù, il male sembra essere soprattutto l’attaccamento egoistico, e nel canone buddhista gli ostacoli all’illuminazione sono ugualmente il concetto di io e mio. È la non–azione, l’azione senza attaccamento ai frutti, che ci conduce verso la realizzazione. La morte dell’ego, il sacrificio di sé, è essenziale per la nostra liberazione. L’orgoglio è il più grande ostacolo alla saggezza.

Thomas: La Bhagavad Gita, il cui discorso si svolge nel “campo della verità”, per citare il primo versetto del poema, non offre alcun appoggio per il relativismo etico. “I profeti non esistono più”, dici. Forse, ma direi che lo spirito di profezia continua a soffiare, e nel terzo millennio si manifesterà con voci nuove e antiche, dell’Occidente e dell’Oriente, per aiutarci a camminare secondo la verità di noi stessi e di Dio. La Bibbia per me è un grande messaggio di speranza. Anche il “vangelo degli indù” è una buona novella sempre attuale. La interpreto con tutto l’ottimismo della mia fede cristiana. M’infondono fiducia anche le testimonianze di verità e di virtù che vedo in persone di altre fedi, come il martirio di Mahatma Gandhi, profeta dei nostri tempi, riconosciuto come tale anche da papa Giovanni Paolo II, in occasione di un suo viaggio in India.  

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