La
legge del karma
Anna: Sono sempre più convinta
che ciò che ci accade non è mai casuale, appartiene a un disegno divino; un
indù direbbe alla legge del karma. Le
esperienze dolorose servono per farci crescere e soltanto dopo molti anni si
riesce a guardare indietro con un po’ di obiettività e a intuire, forse, la
trama del disegno. Vorrei partire proprio dal nostro primo incontro nel 1994.
Quell’anno avevo deciso di non seguire l’appuntamento yoga di Assisi. Soffrivo
ancora dei postumi di un incidente automobilistico con trauma cranico, avvenuto
tre mesi prima quando mia madre morì improvvisamente. Allora partii per
allontanarmi da Roma con la speranza illusoria di creare un vuoto tra me e il
dolore. Ricordo con angoscia il giorno in cui mia madre si ammalò, era il
Lunedì dell’Angelo, eravamo in campagna e dovevamo tornare a Roma. Si era messa
la giacca per uscire, ma cominciò a sentirsi male, aveva un forte mal di testa
con nausea e vomito. Dopo dodici giorni e un inutile intervento chirurgico morì
a Roma. Prima che il coma oscurasse la sua mente avevo fatto in tempo a dirle:
“Mamma, ti voglio bene”. E una lacrima era scesa sul suo volto.
Anche la morte di mio padre è stranamente
legata a un viaggio inaspettato. Era finita da pochi mesi una storia d’amore
importante, la più importante della mia vita, ero sola con mio figlio, senza
lavoro, senza una lira, con uno sfratto in corso, quando lui ci lasciò nel giro
di pochi giorni a sessantasei anni. Era il 1982. Il cuore mi scoppiava dal
dolore, dovevo digerire due lutti e continuare a vivere, un’impresa che mi
sembrava impossibile. Credevo di impazzire, accettai così il prestito di un
amico — ero disoccupata e piena di debiti — e partii dopo pochi giorni per
l’India con un’amica che aveva già programmato da tempo il suo viaggio. Vedere
l’India che tanto amavo, non diminuì la mia sofferenza, ma quel viaggio mi
regalò un’esperienza di Luce, che forse doveva rafforzarmi interiormente per
affrontare le prove che sarebbero seguite da lì a poco.
Mi
ammalai subito a Katmandu. Tornai in Italia, subii un’operazione, l’anestesia
indebolì il mio fisico già provato, per anni si susseguirono varie malattie,
l’asma m’impedì di respirare e dormire per molto tempo. Non riuscivo nemmeno a
piangere, perché il respiro si spezzava in gola. Ho impiegato molti anni per
recuperare un po’ di salute e una vita normale. Poi sono venuti altri problemi.
Ho sempre la sensazione di stare in prima linea, che non mi sia mai concesso un
po’ di pausa per rifugiarmi nelle retrovie. Ed è forse per questo che a volte
sono presa dal desidero di lasciarmi andare, pur temendo la morte spesso l’ho
desiderata; ma c’è sempre qualcuno o qualcosa che mi costringe a continuare. È
questo il mio destino.
Io non dovevo venire al convegno yoga ma la
morte di mia madre mi porta ad Assisi, dove incontro un monaco vestito di
arancione e scopro che pratica la mia stessa tecnica di meditazione. E mentre
sto per mollare gli ormeggi, mi dice: “Aspetta, scriviamo un libro insieme”. E
ricomincio lentamente a risalire la china e la mia vita ha di nuovo uno scopo.
Thomas: Il tuo venire ad
Assisi è stato un gesto di fiducia nella vita. Tu mi parlavi di morte ma in te
già sbocciava il germe di speranza in una nuova fase della vita, in una
crescita di là della morte. Tu la vedevi in termini della reincarnazione e,
infatti, una delle prime domande che mi hai fatto è stata proprio su questo
tema.
Anna: Ciò che divide le grandi
religioni del mondo, uno dei punti più importanti e delicati, è proprio il
concetto di reincarnazione. Ammettere una serie di vite significa dare all’uomo
la libertà di crescere con le sue forze. Chi vuole evolvere rapidamente dedica
tutta la sua vita a pregare, a meditare, per progredire al fine di unirsi a
Dio. Chi invece è ancora legato alle passioni, ai desideri, ha bisogno di più
tempo, e quindi di più vite, ma il fine ultimo è sempre l’unione con Dio.
L’anima cresce piano piano, matura e questo
ha una sua logica, una sua credibilità. Insomma, è questo che mi ha fatto
riavvicinare, dopo anni di agnosticismo — non vorrei chiamarlo ateismo perché
sono stata allevata nella culla cattolica fino a vent’anni — alla spiritualità.
È proprio il fascino di questo cammino, vedere l’anima che cade e si rialza,
cade e si rialza, cade e si rialza finché è necessario. Una volta indossa un
vestito lacero, un’altra volta sceglie un abito lussuoso. Perché ogni vita è un
vestito; comunque da sola costruisce il suo itinerario di crescita spirituale.
Quello che mi lasciava e ancora mi lascia perplessa della religione cattolica,
non è la figura del Cristo, affascinante, stupenda come quella del Buddha, ma
questa rigidità nell’ammettere una sola vita.
L’esistenza pone mille interrogativi. C’è
chi nasce miliardario e chi vede la luce in un paese del terzo mondo. Chi ha il
dono della salute e chi soffre per continue malattie. Chi muore nel suo letto,
circondato dall’affetto dei cari, chi viene ucciso, crivellato di colpi, in
guerra. C’è una tale disparità, una tale disuguaglianza tra le diverse vite!
Non posso pensare che Dio sia ingiusto, cattivo o, almeno, è incomprensibile. E
poi l’idea di una sola vita non ti lascia scampo. Se in trenta, cinquanta,
ottant’anni non hai fatto in tempo a trovare Dio perché sei ancora ossessionato
dal sesso, dai soldi, dall’avidità, non hai nessun’altra chance. Hai l’inferno
eterno, di cui abbiamo parlato prima, o il Purgatorio millenario, dipende da
quanti peccati hai fatto.
Nell’Autobiografia
di uno Yoghi, Paramahansa Yogananda cita un passo del vangelo di Matteo
(17,12–13) dove sembra chiaro il riferimento di Gesù alla reincarnazione: “Vi assicuro
però che Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto e gli hanno fatto quello
che hanno voluto. Perciò faranno soffrire anche il Figlio dell’uomo. Allora i
discepoli capirono che aveva parlato di Giovanni Battista”. Giovanni Battista
era venuto precedentemente come Profeta Elia. Il Cristo non ha mai detto
esplicitamente che non esiste la reincarnazione. Il Platonismo è stato abolito
con il secondo concilio di Costantinopoli. Conosco la posizione ufficiale della
Chiesa, voglio conoscere la tua posizione.
Thomas: La mia posizione è
quella di un cattolico che vuole dialogare con le grandi religioni dell’Asia.
Vivo pacificamente la differenza fra il dogma della Chiesa e gli insegnamenti
induisti e buddhisti — tutt’altro che univoci — sulla trasmigrazione delle
anime. Credo nell’evoluzione collettiva dell’umanità e nella comunione fra
tutte le vite umane, fra coloro che vivono adesso, coloro che sono vissuti nel
passato e coloro che devono ancora nascere.
Anna: Ma che rapporto ci può
essere tra un ricco emiro e un bambino massacrato in Bosnia?
Thomas: Sono entrambi esseri
umani e sono entrambi amati da Dio, che li chiama alla medesima unione con Lui.
Anna: Allora vuoi dire che è
del tutto casuale il fatto che si nasce poveri ricchi deformi storpi belli
brutti alti bassi biondi bruni?
Thomas: Non ho la spiegazione
per questi fatti. Chi dice che il cristiano deve avere tutte le risposte,
perché l’indù ne ha una precisa? C’è un potente miliardario da una parte e un
bimbo massacrato dall’altra. È proprio necessario che io, in quanto cristiano,
spieghi questo? Non è piuttosto necessario che io faccia una scelta e mi metta
dalla parte del bambino massacrato, che mi senta incarnato con quel bimbo e
lontano da chi l’opprime? Non voglio consegnare nessuno all’inferno, però mi
sento lontano da chi manovra le guerre e fa affari con il commercio delle armi,
e vorrei essere molto vicino al bimbo massacrato nella Bosnia.
Anna: Come cattolico, non
potendo rispondere al quesito, hai accantonato il problema. Non sei riuscito a
dare una risposta logica e plausibile.
Thomas: Perché le risposte
alle questioni ultime devono essere per forza logiche e plausibili? Noi
cattolici l’abbiamo fatto per secoli e secoli; abbiamo avuto la presunzione di
dare la risposta più logica, più plausibile a tutte le questioni. In questo
momento veniamo a contatto con le religioni dell’Asia, con quelle grandi
civiltà che hanno elaborato una visione della vita nella sua unità, della vita
che si evolve secondo i cicli cosmici. Per esprimere la loro visione usano il
linguaggio mitico della trasmigrazione delle anime. Gli anatemi ecclesiastici
contro la reincarnazione furono pronunciati in tutt’altra situazione storica.
Oggi abbiamo la possibilità di rivedere la questione alla luce dei testi autentici
dell’induismo e del buddhismo, che per diciotto secoli la Chiesa non conosceva
per nulla.
Anna: E allora quei passi del
Vangelo che prima ho citato?
Thomas: Non nego che possono
alludere all’esistenza di credenze reincarnazionistiche al tempo di Gesù. Tali
credenze esistono ancora oggi fra alcuni ebrei. Gesù non dice: “Bravi, Apostoli
miei, avete capito che tutti ci reincarniamo!”. Egli sposta l’attenzione dei
discepoli dalla speculazione sul “destino delle anime” all’azione salvifica di
Dio qui ed ora.
Anna: Continuo ad avere
sensazione che tu eviti il problema, perché mi hai confidato un giorno che hai
avuto delle strane visioni o sensazioni che ti riportavano a vite precedenti,
allora quelle come le spieghi?
Thomas: Perché mi vuoi
spingere alla logicità del pensiero maschile, mentre sto tentando di integrare
il mio razionalismo con un sapere più intuitivo? Ti ho parlato della sensazione
estremamente vivace che avevo da bambino, di trovarmi nell’oceano, naufrago,
sul punto di annegare. Né allora, né adesso la interpreto come il ricordo di
una mia “vita precedente”.
Anna: Vuoi dire che quando
vivevi questa sensazione di morte, stavi forse vivendo l’emozione di un’altra
persona? Una sera mi è capitato, credo, qualcosa di simile. Ero arrivata da
circa mezz’ora a casa, ero in cucina a preparare la cena. Improvvisamente ho
avuto la sensazione netta di morire, la sensazione della vita che stava
scivolando via. Ero come sdoppiata, da una parte sentivo la paura, l’angoscia
della morte, dall’altra cercavo di rassicurarmi, mi toccavo e dicevo: “Non ho
niente, non ho dolori, perché mai dovrei morire?”. Spaventata e singhiozzando
mi sono gettata sul letto. “Dio mio, cosa mi sta succedendo?”, ripetevo
mentalmente. Poi, dopo una mezz’ora, tutto è passato ed io ho rimosso
l’episodio, come succede spesso quando la mia ragione non trova una spiegazione
plausibile a quello che mi accade. L’unica associazione mentale che ho fatto, a
distanza di tempo, è che quella sera avevo incrociato davanti casa un’ambulanza
che stava andando a sirene spiegate al pronto soccorso del più vicino ospedale,
il Policlinico Gemelli. E come ogni volta avevo mentalmente pregato per colui o
colei che in quel momento era in grave pericolo di vita. Yogananda racconta di
aver vissuto la sensazione della morte di un giovane soldato colpito da una
pallottola in guerra, perché la sua coscienza si era trasferita momentaneamente
nella mente di quell’uomo.
Thomas: Ed io, nella mia
fantasia infantile di annegare, sentivo solo una grande angoscia per la sensazione,
vivace e concreta, di cadere nell’oceano. Conosco esattamente come uno si sente
in tali circostanze, come se l’esperienza l’avessi fatta personalmente. Sento
ancora il brivido dell’acqua fredda sulla mia pelle, una sensazione che ogni
tanto mi prendeva quando ero bambino, e mi afferra ancora oggi. Avevo un libro
di favole che parlava di un piccolo traghetto che riesce a liberare una grande
nave. In una delle pagine del libro c’era il disegno del traghetto mentre
affronta la tempesta. Mi ricordo che saltavo la pagina tanto quell’immagine era
per me sconvolgente. Se la guardavo mi sentivo affondare.
Anna: Si dice che proprio nei
primi anni di vita ci siano ancora reminiscenze di vite precedenti. Visioni,
comportamenti, sensazioni che poi si perdono quando si diventa adulti. E
sicuramente questo è un bene, altrimenti saremmo continuamente condizionati da
quello che abbiamo fatto in precedenza, non avremmo più libertà di scelta. Come
spieghi, allora, che a sette anni avevi paura del mare, vivevi questa
sensazione di morire annegato nell’Oceano Pacifico?
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