giovedì 4 ottobre 2018

L'egoismo del contemplativo


L’egoismo del contemplativo

Anna: A volte il cammino spirituale, il cammino contemplativo, proprio perché si basa sulla solitudine, sull’isolamento, rischia di potenziare l’ego. Soltanto il rapporto interpersonale costringe a cambiare. L’innamoramento mette in moto meccanismi insospettati e insospettabili. Vivere tutti i giorni con una persona ti costringe a rimetterti in discussione continuamente, a confrontarti con l’altro, con i desideri dell’altro, con le sue abitudini, le necessità, i vizi. C’è un contraddittorio continuo, stimolante, a volte doloroso e lacerante, con una persona reale.
   Credo che nel rapporto interpersonale ci siano oggettivamente più stimoli al cambiamento. Esistono persone che hanno un alto livello intellettuale e culturale, ma è come se fossero all’asilo infantile per quanto riguarda la maturità psichica e affettiva. La persona che tende alla perfezione è quella che evolve armonicamente su tutti i piani. Il rapporto a due, in genere, stimola questa crescita della personalità, ma esistono anche rapporti intensi, logoranti, distruttivi, e allora siamo di fronte a situazioni nevrotiche.
   La mia amica Hélène Erba Tissot amava ripetermi che avevo dentro di me una sorta di amplificatore interno, che dovevo imparare a manovrare, perché le emozioni erano così violente che la mia salute ne avrebbe risentito. Se si nasce ipersensibili ed emotivi è difficile raggiungere il distacco, ma in tutti questi anni è stato il mio terreno di lavoro. Vivere nel mondo senza essere del mondo. E la solitudine è stata una scelta di necessità, non soltanto per sopravvivere fisicamente, ma anche per dedicarmi agli interessi spirituali.
   È stata Hélène, durante le sedute di analisi, a farmi tornare l’amore per la filosofia yoga, che avevo scoperto durante l’adolescenza. È stata lei a regalarmi la prima foto di Paramahansa Yogananda, che da allora è sul mio comodino accanto al letto. È stata Hélène a far riaffiorare dall’inconscio un episodio che avevo completamente dimenticato e che riguarda una strana impronta di mano trovata su un mio grembiule da cucina. Con lei ho percorso anni difficili di cammino spirituale, piena di dubbi e di diffidenze. Ancora segnata dall’esperienza cattolica, non volevo rientrare in un’altra chiesa.
   L’incontro con lei, anche quello predisposto da una serie di circostanze incredibili, certo non casuali, ha cambiato la mia vita in tutti i sensi, perché fu proprio grazie a lei che andai a curarmi in Germania, in una clinica vicino a Stoccarda dove, finalmente, dopo quattro anni di dolori atroci alla colonna vertebrale, ritrovai a poco a poco un po’ di benessere. Era il nostro un rapporto molto intenso. È stata per me sicuramente un guru vivente, che mi ha avvicinato all’altro guru, che io non ho conosciuto, ma lei sì, Yogananda.

Thomas: Chi sceglie la solitudine deve esaminare i motivi perché lo fa. Non ho scelto la solitudine come fine ultimo. Nemmeno come fine prossimo, solamente come strumento per applicarmi più intensamente a certe cose. Sia sul piano culturale, quando devo scrivere, quando devo comporre musica, quando devo leggere, ma anche per sostenere un cammino regolare di pratica spirituale. La solitudine va vissuta in continuo rapporto con Dio. Il rapporto con Dio si sviluppa attraverso la purificazione delle immagini da ciò che è contrario al Dio di bontà, di tenerezza, amante dell’umanità, salvatore rivelato nelle sacre Scritture.

Anna: E vendicativo secondo quanto ci dice la Bibbia.

Thomas: Vendicativo non nel senso comune, perché il “vendicare” nella Bibbia significa difendere colui che è senza difesa.
   Quando esco dalla mia cella monastica, mi trovo in una comunità di fratelli. Tutti uomini, questa è l’unica difficoltà. Vivere solamente con le persone del medesimo sesso non favorisce la maturazione umana e spirituale.

Anna: Ma le donne non sono state viste nella storia della Chiesa, soprattutto nel passato, come il diavolo, come portatrici di peccati e desideri? E i grandi yoghi non sono da meno. In un libro dedicato al brahmacharya, al voto di celibato, swami Sivananda, un grande maestro di Rishikesh, consiglia ai propri discepoli di camminare guardando per terra e di tenersi alla larga dalle donne; e agli uomini sposati suggerisce: “Cercate di stare lontano dalle vostre compagne il più possibile. Parlate poco con loro. Siate seri. Non scherzate e ridete con loro”. L’ho trovato veramente eccessivo.
   Un altro yoghi, swami Satchidananda, anche lui discepolo di Sivananda, scrive per gli occidentali concetti ben diversi. Non c’è peccato nel sesso. Il piacere tra i due sessi è positivo. Dio ha creato questa inclinazione. Se c’è peccato questo è nell’eccesso. Nello yoga la chiave è la moderazione, nel pensiero, nella parola e nell’azione, nella quale s’include il sesso. Giovanni Paolo II ha invitato i sacerdoti a vedere in ogni donna una madre e una sorella, per allontanare, ovviamente, le tentazioni carnali. E Papa Francesco ha ripetuto il concetto che la donna non è un diavolo.

Thomas: Papa Giovanni Paolo II disse una cosa giusta, non ti pare? E’ in buona compagnia. Sri Yukteswar e Paramahansa Yogananda dicevano la stessa cosa. Anche chi ha moglie, dovrebbe vedere le altre donne come madri e sorelle.

Anna: La Chiesa non può più imporre il celibato forzatamente anche perché, come abbiamo visto ai tempi dei padri della chiesa, il vescovo poteva essere sposato e il celibato è stato imposto nell’anno mille. Trovo intollerabile la pedofilia dei sacerdoti. Swami Satchidananda definisce l’omosessualità e la masturbazione forme di schiavitù mentale.[i]

Thomas: Però si deve distinguere tra la pedofilia e l’omosessualità, specialmente quando quest’ultima tendenza è vissuta con il rispetto scrupoloso delle persone e dell’opinione comune e senza qualsiasi atto di abuso sui minori.

Anna: Ho incontrato pochi sacerdoti e monaci che m’ispiravano per la loro pulizia, onestà, lealtà. In verità in questi ultimi anni non ne ho frequentati molti. In genere lo sguardo rivela i desideri repressi e il volto riflette i vizi inconfessati. Ho visto persone piene di orgoglio ed esseri umani spaventati e nevrotici.

Thomas: Sei troppo severa. Non puoi pretendere che chi si fa monaco sia già un santo. È entrato in monastero perché voleva intraprendere un cammino di conversione e di crescita spirituale.

Anna: La maggior parte delle vocazioni un tempo era soltanto il frutto di un’imposizione. I genitori si liberavano di un figlio o di una figlia, con tutti i problemi connessi. Risparmiavano sulla dote e avevano preghiere assicurate per la loro anima. Poi hanno influito l’ignoranza, la difficoltà a trovare un lavoro. È difficile vivere nel mondo, mantenere una famiglia. È una vita completamente diversa da quella che in genere si fa in un monastero, dove tutto è pronto, pulito, non c’è la preoccupazione del cibo, del denaro insufficiente per sopravvivere. Molte vocazioni forse rimangono tali perché si è spaventati dall’idea di affrontare il mondo esterno. Io credo che debbano rimanere nei monasteri soltanto coloro che sono veramente chiamati da Dio. Gli altri, o si sposano, oppure fanno i sacerdoti sposandosi, oppure tornano nel mondo.

Thomas: Diceva san Paolo di se stesso e degli altri apostoli: “Abbiamo un tesoro in vasi di creta”. L’esempio di Paolo sta all’apice della santità, eppure riconosce la propria fragilità umana. Ho conosciuto tanti sacerdoti e religiosi, e posso dire che ho visto la trasformazione delle persone, dei volti, degli sguardi, attraverso la sofferenza, attraverso il pentimento, attraverso la riflessione. Questo mi dà fiducia, sia nelle persone sia, in qualche modo, nelle strutture ecclesiastiche molto essenziali.



[i]Swami Satchidananda, To know yourself, pag. 180-181. Edit by Philip Mandelkom

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