L’egoismo
del contemplativo
Anna: A volte il cammino
spirituale, il cammino contemplativo, proprio perché si basa sulla solitudine,
sull’isolamento, rischia di potenziare l’ego. Soltanto il rapporto
interpersonale costringe a cambiare. L’innamoramento mette in moto meccanismi
insospettati e insospettabili. Vivere tutti i giorni con una persona ti
costringe a rimetterti in discussione continuamente, a confrontarti con
l’altro, con i desideri dell’altro, con le sue abitudini, le necessità, i vizi.
C’è un contraddittorio continuo, stimolante, a volte doloroso e lacerante, con
una persona reale.
Credo che nel rapporto interpersonale ci
siano oggettivamente più stimoli al cambiamento. Esistono persone che hanno un
alto livello intellettuale e culturale, ma è come se fossero all’asilo
infantile per quanto riguarda la maturità psichica e affettiva. La persona che
tende alla perfezione è quella che evolve armonicamente su tutti i piani. Il
rapporto a due, in genere, stimola questa crescita della personalità, ma
esistono anche rapporti intensi, logoranti, distruttivi, e allora siamo di
fronte a situazioni nevrotiche.
La mia amica Hélène Erba Tissot amava
ripetermi che avevo dentro di me una sorta di amplificatore interno, che dovevo
imparare a manovrare, perché le emozioni erano così violente che la mia salute
ne avrebbe risentito. Se si nasce ipersensibili ed emotivi è difficile
raggiungere il distacco, ma in tutti questi anni è stato il mio terreno di
lavoro. Vivere nel mondo senza essere del mondo. E la solitudine è stata una
scelta di necessità, non soltanto per sopravvivere fisicamente, ma anche per
dedicarmi agli interessi spirituali.
È stata Hélène, durante le sedute di
analisi, a farmi tornare l’amore per la filosofia yoga, che avevo scoperto
durante l’adolescenza. È stata lei a regalarmi la prima foto di Paramahansa
Yogananda, che da allora è sul mio comodino accanto al letto. È stata Hélène a
far riaffiorare dall’inconscio un episodio che avevo completamente dimenticato
e che riguarda una strana impronta di mano trovata su un mio grembiule da
cucina. Con lei ho percorso anni difficili di cammino spirituale, piena di
dubbi e di diffidenze. Ancora segnata dall’esperienza cattolica, non volevo
rientrare in un’altra chiesa.
L’incontro con lei, anche quello predisposto
da una serie di circostanze incredibili, certo non casuali, ha cambiato la mia
vita in tutti i sensi, perché fu proprio grazie a lei che andai a curarmi in
Germania, in una clinica vicino a Stoccarda dove, finalmente, dopo quattro anni
di dolori atroci alla colonna vertebrale, ritrovai a poco a poco un po’ di
benessere. Era il nostro un rapporto molto intenso. È stata per me sicuramente
un guru vivente, che mi ha avvicinato all’altro guru, che io non ho conosciuto,
ma lei sì, Yogananda.
Thomas: Chi sceglie la
solitudine deve esaminare i motivi perché lo fa. Non ho scelto la solitudine
come fine ultimo. Nemmeno come fine prossimo, solamente come strumento per
applicarmi più intensamente a certe cose. Sia sul piano culturale, quando devo
scrivere, quando devo comporre musica, quando devo leggere, ma anche per
sostenere un cammino regolare di pratica spirituale. La solitudine va vissuta
in continuo rapporto con Dio. Il rapporto con Dio si sviluppa attraverso la
purificazione delle immagini da ciò che è contrario al Dio di bontà, di
tenerezza, amante dell’umanità, salvatore rivelato nelle sacre Scritture.
Anna: E vendicativo secondo
quanto ci dice la Bibbia.
Thomas: Vendicativo non nel
senso comune, perché il “vendicare” nella Bibbia significa difendere colui che
è senza difesa.
Quando esco dalla mia cella monastica, mi
trovo in una comunità di fratelli. Tutti uomini, questa è l’unica difficoltà. Vivere
solamente con le persone del medesimo sesso non favorisce la maturazione umana
e spirituale.
Anna: Ma le donne non sono
state viste nella storia della Chiesa, soprattutto nel passato, come il
diavolo, come portatrici di peccati e desideri? E i grandi yoghi non sono da
meno. In un libro dedicato al brahmacharya,
al voto di celibato, swami Sivananda, un grande maestro di Rishikesh, consiglia
ai propri discepoli di camminare guardando per terra e di tenersi alla larga
dalle donne; e agli uomini sposati suggerisce: “Cercate di stare lontano dalle
vostre compagne il più possibile. Parlate poco con loro. Siate seri. Non
scherzate e ridete con loro”. L’ho trovato veramente eccessivo.
Un altro yoghi, swami Satchidananda, anche
lui discepolo di Sivananda, scrive per gli occidentali concetti ben diversi.
Non c’è peccato nel sesso. Il piacere tra i due sessi è positivo. Dio ha creato
questa inclinazione. Se c’è peccato questo è nell’eccesso. Nello yoga la chiave
è la moderazione, nel pensiero, nella parola e nell’azione, nella quale
s’include il sesso. Giovanni Paolo II ha invitato i sacerdoti a vedere in ogni
donna una madre e una sorella, per allontanare, ovviamente, le tentazioni
carnali. E Papa Francesco ha ripetuto il concetto che la donna non è un diavolo.
Thomas: Papa Giovanni Paolo II
disse una cosa giusta, non ti pare? E’ in buona compagnia. Sri Yukteswar e
Paramahansa Yogananda dicevano la stessa cosa. Anche chi ha moglie, dovrebbe
vedere le altre donne come madri e sorelle.
Anna: La Chiesa non può più
imporre il celibato forzatamente anche perché, come abbiamo visto ai tempi dei
padri della chiesa, il vescovo poteva essere sposato e il celibato è stato
imposto nell’anno mille. Trovo intollerabile la pedofilia dei sacerdoti. Swami
Satchidananda definisce l’omosessualità e la masturbazione forme di schiavitù
mentale.[i]
Thomas: Però si deve
distinguere tra la pedofilia e l’omosessualità, specialmente quando
quest’ultima tendenza è vissuta con il rispetto scrupoloso delle persone e
dell’opinione comune e senza qualsiasi atto di abuso sui minori.
Anna: Ho incontrato pochi
sacerdoti e monaci che m’ispiravano per la loro pulizia, onestà, lealtà. In
verità in questi ultimi anni non ne ho frequentati molti. In genere lo sguardo
rivela i desideri repressi e il volto riflette i vizi inconfessati. Ho visto
persone piene di orgoglio ed esseri umani spaventati e nevrotici.
Thomas: Sei troppo severa. Non
puoi pretendere che chi si fa monaco sia già un santo. È entrato in monastero
perché voleva intraprendere un cammino di conversione e di crescita spirituale.
Anna: La maggior parte delle
vocazioni un tempo era soltanto il frutto di un’imposizione. I genitori si
liberavano di un figlio o di una figlia, con tutti i problemi connessi.
Risparmiavano sulla dote e avevano preghiere assicurate per la loro anima. Poi
hanno influito l’ignoranza, la difficoltà a trovare un lavoro. È difficile
vivere nel mondo, mantenere una famiglia. È una vita completamente diversa da
quella che in genere si fa in un monastero, dove tutto è pronto, pulito, non
c’è la preoccupazione del cibo, del denaro insufficiente per sopravvivere.
Molte vocazioni forse rimangono tali perché si è spaventati dall’idea di
affrontare il mondo esterno. Io credo che debbano rimanere nei monasteri
soltanto coloro che sono veramente chiamati da Dio. Gli altri, o si sposano,
oppure fanno i sacerdoti sposandosi, oppure tornano nel mondo.
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