giovedì 4 ottobre 2018

Regole e creatività


Regole e creatività

Anna: Se il contatto è tra il tuo cuore e il cuore di Dio, a cosa serve l’istituzione? È soltanto una sovrastruttura per fare soldi e gestire il potere. Vuol dire, quindi, che le istituzioni non servono per raggiungere Dio.

Thomas: Purtroppo, le istituzioni servono. Tu ed io siamo esseri umani, coinvolti già in tante ambiguità nella società degli uomini prima ancora che nella Chiesa. Se vivi con altri, avrai sempre a che fare con delle strutture istituzionali.

Anna: Capisco che devi stare dentro le regole. Il vero realizzato è in sintonia con Dio, non ha bisogno di regole.

Thomas: Le regole ci sono sempre. Questo è evidente per chi accetta la definizione classica dell’arte “Il fare secondo regole”. Si esercita l’arte quando si fa una cosa bella seguendo delle regole.

Anna: Seguendo l’intuizione e l’ispirazione. Altrimenti è puro tecnicismo. Tu puoi essere un bravo pittore, conoscere la prospettiva, l’uso sapiente dei colori, però se non hai dentro l’ispirazione, non dipingerai mai come Chagall o Picasso.

Thomas: Ho detto solo uno degli assiomi che governano l’opera dell’artista. L’altro assioma è: “Le regole sono fatte per essere violate”. In principio devo rispettare le regole perché sono i parametri della mia creatività. Poi è la mia stessa creatività che mi spinge, non a inventarmi soggettivamente delle regole, ma a riconoscere, come disse molto bene san Benedetto, parlando delle leggi che aveva dato alla sua comunità “Non tutta la giustizia è contenuta in questa regola”, che la santità non è lì. Mi devo sentire allo stesso tempo guidato dalle regole e spronato a non fermarmi all’interno delle regole. Perché altrimenti giro su me stesso, come il cane che insegue la propria coda.

Anna: Chi deve dedicarsi soltanto allo spirito e a Dio non deve occuparsi delle cose terrene? Deve vivere isolato dal mondo, anche se nel paese c’è una dittatura, ci sono ingiustizie, atrocità? Vuoi dire che soltanto i monaci, i mistici, sono destinati a raggiungere Dio? Quale sarà il destino del resto dell’umanità? Penso ad alcune figure splendide come Madre Teresa di Calcutta, ora santa, l’Abbé Pierre, suor Emmanuelle, vite interamente dedicate ai diseredati della terra. Un esempio per tutti. Per me sono questi i santi del duemila. Perché la maggior parte dei religiosi sceglie, invece, di stare dalla parte delle istituzioni? La Chiesa, soprattutto nel passato, era molto vicina a coloro che detenevano il potere, i privilegi. In America Latina le gerarchie ecclesiastiche erano spesso dalla parte della dittatura, mentre il monaco e il prete si schieravano invece con gli oppressi. E in Italia, per decenni, durante la messa domenicale i parroci davano addirittura indicazioni precise per chi votare.

Thomas: Le istituzioni conservatrici della società hanno sempre sfruttato la religione ai propri fini. La Chiesa ha avuto tanti martiri per essersi opposta alla strumentalizzazione della fede a scopi di potere e di oppressione. Durante la dittatura in Cile l’arcivescovo di Santiago si è opposto a Pinochet, al Vaticano e agli Stati Uniti, perché aveva capito benissimo che Pinochet non reprimeva soltanto il comunismo, ma anche il cristianesimo e la democrazia. In certe situazioni la Chiesa deve stare all’opposizione, fino a subire il martirio. Il monaco deve stare sempre all’opposizione, mai con il potere politico, né dalla parte vincente, ma deve rappresentare…

Anna: I bisogni del popolo.

Thomas: Non soltanto. Può anche rappresentare i bisogni del popolo, ma il suo compito specifico è di stare dalla parte perdente, solidale con i poveri e gli emarginati. Il digiunare dai consumi, lo stare in disparte e in silenzio, rappresentano la scelta di parte del monaco.

Anna: E se il perdente in quel momento è un dittatore ?

Thomas: Ogni oppressore opprime in quanto vincitore. Allora il monaco deve stare con gli oppressi. Dico “dalla parte del perdente”, perché nella nostra società prevale l’ideologia del successo, del vincere a tutti i costi, e questo il monaco contesta, come fanno i teologi della liberazione. Una volta che gli oppressi hanno rovesciato l’oppressore, sono ormai vincitori, sono entrati nel palazzo e hanno assunto il governo, il monaco deve forse seguirli ancora?

Anna: Siamo nel terzo millennio e stiamo ancora a discutere se un monaco debba stare nell’eremo o può impegnarsi nella vita. Per modificare questa società violenta c’è bisogno di tutti. Non si può scegliere l’isolamento, in nome di una via individuale alla spiritualità mentre nel mondo c’è sofferenza. Mi sembra una scelta egoistica. Addirittura non capisco la rigidità dei monaci che vivono sul Monte Athos dove le donne non possono nemmeno avvicinarsi. Preferisco la figura del bodhisattva che sceglie di tornare sulla terra, unicamente per aiutare gli altri a progredire. La via dell’amore per il prossimo

Thomas: Perché non guardi a come i monaci vivono in realtà? Camaldoli è un crocevia. Lo è stato sin dall’inizio. Nel Medio Evo migliaia di persone passavano per Camaldoli, perché il monastero stava sulla via dei pellegrini. Chi andava da Ravenna verso Roma doveva per forza passare per Camaldoli. La situazione di Camaldoli è tutt’altro che d’isolamento.

Anna: Ha senso chiudersi in se stessi? Anch’io, a volte, sento il desiderio di fuggire, di isolarmi per non soffrire e per non veder soffrire. Un convento, un ashram, sono pur sempre zone protette dai mali del mondo; ma spesso, il soffio della vita entra inaspettatamente tra le fessure delle porte e gela il cuore.

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