Severità
e compassione
Thomas: Quanto al rigore nei propri riguardi, anch’io esigo il
massimo da me stesso. La vocazione monastica è soprannaturale ma la convivenza
monastica a volte degrada e nascono incoerenza e ipocrisia tra i monaci. Non
voglio giudicare né condannare chi viene meno ai propri impegni, ma neppure
voglio imitarlo. Tra i santi trovo chi imitare, come san Romualdo che è vissuto
mille anni fa e come suor Nazarena, una monaca-anacoreta americana che è morta
a Roma nel 1990. Non sono all’altezza delle loro penitenze esteriori, ma
desidero seguirli nella fedeltà e nella libertà interiore.
Anna: In nome dell’obbedienza
cieca al suo maestro, che lo stava mettendo alla prova, Milarepa ha costruito e
distrutto decine di volte la stessa torre. Non è nell’obbedienza totale che è
forgiata l’umiltà, la personalità?
Thomas: Al contrario. Si deve
obbedire a occhi aperti, altrimenti non è un’obbedienza degna di un essere
umano. Cerco di praticare l’obbedienza monastica. I miei superiori sono
abbastanza “liberal”, mi fanno viaggiare, scrivere. Sono straniero, mi
considerano forse un po’ matto, e quindi mi lasciano libero. Non posso imitare
certe loro piccinerie, ma queste le vedo mescolate con qualità che posso
imitare. Mi sono convertito al cattolicesimo alla ricerca della
perfezione. Vedo in me stesso e nei miei
fratelli monaci molta grandezza insieme con molta miseria, come avrebbe detto
Pascal.
Anna: Perché ti senti in
dovere di giustificare la categoria sacerdotale?
Thomas: Non giustifico niente.
Osservo la realtà delle persone e vedo che non è mai così netta da poterne
dedurre, con metodo sillogistico, un caso e la sua soluzione. Cioè la morale
casistica non funziona. Anche una morale rigorista mi crea problemi. Da
contemplativo mi pongo, io peccatore, sull’orlo dell’abisso, insieme con tutti
i peccatori, i preti ipocriti, gli sposi falliti. Questa, credo, è la mia
vocazione.
Un
monaco russo sul Monte Athos, il beato Silvano, morto negli anni trenta, ebbe
una visione di Gesù che gli disse: “Tieni la tua mente nell’inferno e non
disperare”. Si fece monaco per stare sull’orlo dell’inferno; stava lì senza
disperare, e pregava per i nemici, per i bolscevichi. Diceva: “Essere cristiani
significa perdonare i nemici, pregare per loro e aspettarsi che l’inferno si
svuoti”. Nella tradizione russa c’è una pia opinione, un po’ eretica, alla
quale aderisco con tutto il cuore; nell’inferno, è vero, ci vanno i dannati, ma
l’inferno sarà vuoto nel giorno dell’eternità. La Vergine non prega forse per
tutte le anime, comprese quelle che stanno nell’inferno? Satana è padrone nel
tempo, ma a Dio solo appartiene l’eternità.
Anna: Abbiamo tutti fretta di
salvare il mondo, ma non abbiamo il tempo di salvare noi stessi, dice swami
Satchidananda.
Thomas: C’era un santo monaco
del deserto che pregava: “O Signore, io solo mi perderò, tutti gli altri si
salveranno”. E San Paolo diceva: “Cristo è venuto nel mondo a salvare i
peccatori di cui io sono il peggiore”. Ed era assolutamente sincero.
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