giovedì 4 ottobre 2018

Un'etica laica

Un’etica laica

Anna: Sono severa, è vero, soprattutto nei miei confronti. Ho impostato la mia vita su un’etica rigorosa e spesso questo nel lavoro non mi è stato d’aiuto. La morale dovrebbe guidare la vita di ogni individuo, a maggior ragione quella di coloro che si pongono come fiduciari di Dio, come interlocutori tra l’essere umano e il Padre Celeste. Se i sacerdoti sono realmente uno strumento di congiunzione e di dialogo tra il popolo e Dio, devono tendere verso la purezza e l’onestà, devono essere degli esempi limpidi ai quali il peccatore può guardare per avere conforto lungo il cammino spinoso della vita. È chiaro che posso accettare cadute più o meno gravi fatte in buona fede; non posso giustificare un atteggiamento immorale di fondo, un costume di vita basato sull’ipocrisia e la menzogna da chi predica dal pulpito. Anche nell’antica Grecia erano le vergini, le profetesse, a custodire i templi! Se ci si vota a Dio, lo si deve fare completamente, anima e corpo, altrimenti si sceglie un’altra missione nella vita. Non è obbligatorio fare i sacerdoti o le monache. Certo, la debolezza fa parte dell’essere umano, ma allora un sacerdote non può dire: “Io rappresento Dio”, e dare lezioni di moralità.

Thomas: Secondo te, Dio chiama solo i perfetti, i puri, o chiama anche le persone che debbono fare un cammino di purificazione e di perfezionamento?

Anna: Dio chiama tutti, ma non tutti devono fare i sacerdoti. Quelli che hanno una forte vocazione, una forte motivazione, per i quali il sacerdozio non è una scelta di comodo ma un cammino spirituale, questi devono fare i sacerdoti! Perché rappresentano l’esempio, il simbolo, la meta cui tutti noi poveri peccatori dobbiamo arrivare!

Thomas: Ma secondo te, dire: “Solo i perfetti devono fare i sacerdoti”, è un’affermazione laica o un’affermazione che fai perché cattolica?

Anna: Laica. E proprio perché sono laica pretendo la perfezione da chi intende rappresentarmi di fronte al Signore dell’universo, al Padre Celeste. La veste bianca, gialla, nera, o marrone che sia è un segno di riconoscibilità, di verità. È evidente che non sto parlando soltanto dei cattolici; sto parlando di tutti i religiosi. Per esempio, durante uno dei miei viaggi in India, sono rimasta sconcertata dal comportamento di un monaco buddhista.
   Mi ero fermata a Bodh-Gaya, dove è venerato l’albero sotto il quale Gautama Siddharta ottenne l’illuminazione nel 528 avanti Cristo. Ricordo una bella immagine, alcune monache buddhiste raccoglievano con umile devozione tutta l’erba cresciuta tra gli intarsi del muro. Riuscii a portarmi a casa una foglia, che ora è incorniciata, accanto ad altre immagini del Buddha, nella mia camera da letto. Sono entrata nel tempio, dove in quel momento per fortuna non c’era nessun turista, per una breve meditazione. E quando sono uscita un monaco si è avvicinato chiedendomi come mai meditassi e dove alloggiassi. Poi mi ha portato a visitare l’ashram, mi ha offerto del tè nella sua stanza e, prima di salutarmi, mi ha detto: “Scrivimi, ti raggiungerò a Varanasi; faremo un po’ del viaggio insieme”. Forse ho soltanto male interpretato le sue parole gentili, ma il suo sguardo e i suoi gesti sembravano confermare i miei dubbi. Ovviamente, mi sono ben guardata da comunicargli i miei spostamenti successivi. Dagli uomini comuni io non pretendo l’ascetismo, siamo tutti fragili creature, ma da chi fa meditazione da trent’anni non accetto un comportamento quanto meno equivoco.
   Non avrei accettato quella proposta nemmeno da un turista di passaggio. Viaggio sempre da sola e, pertanto, seguo delle elementari regole di prudenza. Non giro di notte e non frequento locali notturni, che d’altra parte non m’interessano, mi fido soltanto delle persone che conosco o che m’ispirano fiducia, per spostarmi e per visitare musei e templi utilizzo il taxi. Se avessi fatto la scelta di diventare monaca a vent’anni e poi a quaranta avessi scoperto che per me era troppo pesante, che altre esperienze premevano, c’erano soltanto due possibilità: tentare di sublimare il desiderio sessuale concentrandomi sulla preghiera e sulla meditazione, perché anche per i monaci buddhisti ci sono i voti di castità, povertà, umiltà, oppure lasciare l’abito ocra ed entrare nella vita, con tutti i rischi che questo comporta.

Thomas: Tu pretendi il massimo.

Anna: L’ho già detto, pretendo il massimo anche da me.

Thomas: Bene. Non ammetti il progetto di crescita di una persona.

Anna: Non posso tollerare che un sacerdote si faccia trovare in una casa squillo insieme a due prostitute, com’è accaduto a Roma, perché era un habitué. È come per tanti matrimoni. Non si sfasciano per opportunismo. Se questo sacerdote non fosse stato scoperto in quella casa squillo dai carabinieri, che hanno fatto rapporto al Vicariato, nessuno ne avrebbe mai saputo niente, tranne forse il suo confessore, al quale lui avrebbe continuato a dire per chissà quanto tempo: “Padre, ho peccato con una donna!”, forse senza aggiungere “prostituta” e forse omettendo il particolare che lo faceva abitualmente con due donne contemporaneamente. O come è accaduto in provincia di Padova dove un parroco organizzava orge sadomaso in canonica. E’ stata una delle sue amanti a denunciarlo, per gelosia. In questo caso è stato subito sospeso a divinis.

Thomas: Di tale comportamento posso sentire orrore, ma dell’uomo che pecca devo sentire compassione. Ciò non significa offrirgli coperture. Troppi superiori ecclesiastici preferiscono tollerare queste situazioni, sgridare il prete sbandato e mandarlo in vacanza o a seguire un corso di studio o a fare un ritiro a Camaldoli. Tutto per “evitare lo scandalo”. Questa situazione d’ipocrisia impedisce all’uomo di guardarsi nello specchio e dire con onestà: “Ho fallito in questo cammino. Devo uscire. Vado dal mio vescovo e dico: “Non ce la faccio più”. Se dovesse farlo, rischierebbe di finire sul lastrico, alla fame.

Anna: Allora mi dai ragione! Molte vocazioni si reggono su altri presupposti che non sono certo spirituali, ma di convenienza.

Thomas: Conosco personalmente qualche caso anche recente di sacerdoti che hanno sofferto conseguenze pesanti per essere usciti dal clero, coerenti con la loro coscienza.

Anna: Avranno avuto problemi. Fa parte della nuova esperienza. Anch’io quando sono stata disoccupata per cinque anni ho sofferto molto. Dovevo anche mantenere un figlio. È l’esperienza della vita che fanno tutti i poveri mortali, quindi anche un sacerdote può sempre trovare qualcosa di onesto da fare.

Thomas: “Se uno vuole può”. Questo volontarismo è troppo rigido, troppo rigorista.

Anna: Io credo nella volontà. Non dite anche voi: “Aiutati che Dio ti aiuta?”. L’amore e la volontà sono due forze potentissime.

Thomas: Ho sempre creduto nella grazia di Dio che fa superare gli ostacoli, non li toglie. Da quando sono bambino, sento questo discorso dalle donne, da mia madre, dalle mie maestre, dalle mie amiche, e ora da te: “Se vuoi, puoi”. Le donne possono essere severe, come non mai gli uomini. Ecco perché è sbagliato, secondo me, chiamarvi “il gentil sesso”!

Anna: Non è severità. Dentro di noi c’è una volontà, che è volontà divina. Perché bisogna scegliere l’atteggiamento perdente, rinunciatario? Yogananda diceva: “Siete figli di Dio, non comportatevi come mendicanti”.

Thomas: Dentro di noi c’è la volontà umana, libera e responsabile ma debole. Gesù ci ha insegnato a non giudicare mai nessuno e a pregare il nostro Padre: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. L’unico nostro modello è Gesù, l’Agnello, il “mite e umile di cuore”.

Anna: Che però cacciava i mercanti dal tempio quando era il caso. Io amo i condottieri, i guerrieri, coloro che combattono! Non mi piacciono quelli che stanno in retroguardia, a guardare gli altri che si fanno massacrare. Sono opportunisti.

Thomas: Esistono anche i non violenti. Se la coscienza non permette loro di prendere le armi?

Anna: Ma io sto facendo un discorso metaforico! Non prenderei mai un’arma in mano e mi farei ammazzare prima di uccidere. Quando parlo di battaglie, mi riferisco a quelle di tutti i giorni, trovare i soldi per mangiare, per pagare l’affitto, per le medicine, cercare un lavoro. Noi siamo i guerrieri della vita quotidiana. Non c’è bisogno di fare la rivoluzione per combattere.

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